Monti in Asia, prima che sia troppo tardi

Romeo Orlandi

Nella globalizzazione non si possono imputare responsabilità alla concorrenza, alla tecnologia giapponese, alla ricerca coreana, alla manifattura cinese. Sul banco degli imputati va invece posto chi, con poche eccezioni, ha avuto responsabilità di guida e di indirizzo. Invece di studiare i successi asiatici, è risultato più conveniente lanciare allarmi, denigrare la qualità dei prodotti, lamentare il pericolo giallo in qualsiasi paese fosse applicabile.
Dall’altra parte del mondo si studiavano soluzioni, si brevettavano prodotti, si creavano modelli. Non avremmo dovuto imitarli, ma almeno comprenderli. Invece è prevalsa la retorica nazionale del “piccolo è bello”. Paesi con minori tradizioni industriali come la Cina e la Corea inanellavano successi di qualità e quantità, proprio mentre in Italia si teorizzava l’inimitabilità dei nostri beni di consumo e il compiacimento delle economie di nicchia.

Tutto l’articolo qui

Hat-tip Alberto Forchielli

“Animal school” – Secondo episodio

Secondo episodio di “Animal school” la web sitcom ambientata nel mondo della scuola e prodotta a Castellammare del Golfo.

La serie, che sia nel titolo che nella veste grafica e nelle colonne sonore si rifà al film cult del 1978 “Animal House”, è stata ideata e prodotta dagli allievi dell’ istituto Piersanti Mattarella di Castellammare Del Golfo, che frequentano il laboratorio ” Cinema letteratura e cittadinanza”.

Gli episodi, hanno cadenza settimanale, e affrontano, in modo comico, e talvolta cinico, i comportamenti, i vizi e gli stereotipi di alunni e professori.

Il bullo e il secchione, la vanitosa e l’innamorato, Il burlone, lo stupido, le emo, gli avventori del bagno e la lecchina sono alcuni dei personaggi impersonati dai ragazzi, inoltre sono stati coinvolti nell’iniziativa, alcuni attori locali: Vitalba Parrino (nel ruolo della Professoressa) Nitto Mazzara (nel ruolo dell’alunno ripetente) Giuseppe Tamburello (nel ruolo del professore) e Salvatore Scolaro (nel ruolo del bidello).

All’interno del laboratorio gli alunni sono guidati dai filmmaker di “ZEPstudio” Claudio Colomba e Giovanni Navarra.

Gli alllievi che fanno parte del laboratorio sono: Elena Agliata, Flavia Augello, Ivan Calandra, Virginia Cascio, Giuseppe Coppola, Antonino Corso, Alexandra Cusumano, Mario D’Aguanno, Ivan Dattolo, Orazio Enea, Sebastiano Giordano, Damilia Mule’, Davide Paradiso, Alessia Petronio, Emanuele Pisciotta, Silvia Rotolo, Salvo Saccheri, Andrea Vasile e Mariangela Vassallo.

Il Comune di Salemi sciolto per infiltrazioni mafiose… e a Trapani ci stanno lavorando !

23/03/2012 – LA LINEA DURA DEL VIMINALE CONTRO LE INFILTRAZIONI

Il Comune di Leinì sciolto per mafia

Cancellate le amministrazionidi Salemi, Pagani, Gragnano,Bova Marina, Racalmuto e Platì

GUIDO RUOTOLO

ROMA

Il cdm ha disposto lo scioglimento di sette Comuni per infiltrazioni mafiose. Si tratta di Pagani, in provincia di Salerno, dei siciliani Racalmuto e Salemi, fino a poco tempo fa guidato da Vittorio Sgarbi, Gragnano, nel Napoletano, Bova marina e Platì in Calabria. Deciso lo scioglimento anche per Leinì, il comune del Torinese, più volte al centro delle indagini per ‘ndrangheta.

da La Stampa.it

*** Update

Per maggiore intelligenza del lettore si riportano di seguito gli articoli 143-144-145 e 146 del Dlgs 267/2000 che disciplinano lo scioglimento ed il funzionamento dei comuni sciolti per infiltrazioni mafiose:
Articolo 143
Scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso.

1. Fuori dei casi previsti dall’articolo 141, i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando, anche a seguito di accertamenti effettuati a norma dell’articolo 59, comma 7, emergono elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalita’ organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonche’ il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica. Lo scioglimento del consiglio comunale o provinciale comporta la cessazione dalla carica di consigliere, di sindaco, di presidente della provincia e di componente delle rispettive giunte, anche se diversamente disposto dalle leggi vigenti in materia di ordinamento e funzionamento degli organi predetti, nonche’ di ogni altro incarico comunque connesso alle cariche ricoperte.

2. Lo scioglimento e’ disposto con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’interno, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri. Il provvedimento di scioglimento deliberato dal Consiglio dei Ministri e’ trasmesso al Presidente della Repubblica per l’emanazione del decreto ed e’ contestualmente trasmesso alle Camere. Il procedimento e’ avviato dal prefetto della provincia con una relazione che tiene anche conto di elementi eventualmente acquisiti con i poteri delegati dal Ministro dell’interno ai sensi dell’articolo 2, comma 2-quater, del decreto-legge 29 ottobre 1991, n. 345, convertito, con modificazioni, dalla legge 330 dicembre 1991, n. 410, e successive modificazioni ed integrazioni. Nei casi in cui per i fatti oggetto degli accertamenti di cui al comma 1 o per eventi connessi sia pendente procedimento penale, il prefetto puo’ richiedere preventivamente informazioni al procuratore della repubblica competente, il quale, in deroga all’articolo 329 del codice di procedura penale, comunica tutte le informazioni che non ritiene debbano rimanere segrete per le esigenze del procedimento.

3. Il decreto di scioglimento conserva i suoi effetti per un periodo da dodici a diciotto mesi prorogabili fino ad un massimo di ventiquattro mesi in casi eccezionali, dandone comunicazione alle commissioni parlamentari competenti, al fine di assicurare il buon andamento delle amministrazioni e il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati. Il decreto di scioglimento, con allegata la relazione del Ministro, e’ pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

4. Il provvedimento con il quale si dispone l’eventuale proroga della durata dello scioglimento a norma del comma 3 e’ adottato non oltre il cinquantesimo giorno antecedente la data fissata per lo svolgimento delle elezioni relative al rinnovo degli organi. Si osservano le procedure e le modalita’ stabilite dal comma 2 del presente articolo.

5. Quando ricorrono motivi di urgente necessita’, il prefetto, in attesa del decreto di scioglimento, sospende gli organi dalla carica ricoperta, nonche’ da ogni altro incarico ad essa connesso, assicurando la provvisoria amministrazione dell’ente mediante invio di commissari. La sospensione non puo’ eccedere la durata di 60 giorni e il termine del decreto di cui al comma 3 decorre dalla data del provvedimento di sospensione.

6. Si fa luogo comunque allo scioglimento degli organi a norma del presente articolo quando sussistono le condizioni indicate nel comma 1, ancorche’ ricorrano le situazioni previste dall’articolo 141.

Articolo 144
Commissione straordinaria e Comitato di sostegno e monitoraggio

1. Con il decreto di scioglimento di cui all’articolo 143 e’ nominata una commissione straordinaria per la gestione dell’ente, la quale esercita le attribuzioni che le sono conferite con il decreto stesso. La commissione e’ composta di tre membri scelti tra funzionari dello Stato, in servizio o in quiescenza, e tra magistrati della giurisdizione ordinaria o amministrativa in quiescenza. La commissione rimane in carica fino allo svolgimento del primo turno elettorale utile.

2. Presso il Ministero dell’interno e’ istituito, con personale della amministrazione, un comitato di sostegno e di monitoraggio dell’azione delle commissioni straordinarie di cui al comma 1 e dei comuni riportati a gestione ordinaria.

3. Con decreto del Ministro dell’interno, adottato a norma dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono determinate le modalita’ di organizzazione e funzionamento della commissione straordinaria per l’esercizio delle attribuzioni ad essa conferite, le modalita’ di pubblicizzazione degli atti adottati dalla commissione stessa, nonche’ le modalita’ di organizzazione e funzionamento, del comitato di cui al comma 2.

Articolo 145
Gestione straordinaria

1. Quando in relazione alle situazioni indicate nel comma 1 dell’articolo 143 sussiste la necessita’ di assicurare il regolare funzionamento dei servizi degli enti nei cui confronti e’ stato disposto lo scioglimento, il prefetto, su richiesta della commissione straordinaria di cui al comma 1 dell’articolo 144, puo’ disporre, anche in deroga alle norme vigenti, l’assegnazione in via temporanea, in posizione di comando o distacco, di personale amministrativo e tecnico di amministrazioni ed enti pubblici, previa intesa con gli stessi, ove occorra anche in posizione di sovraordinazione. Al personale assegnato spetta un compenso mensile lordo proporzionato alle prestazioni da rendere, stabilito dal prefetto in misura non superiore al 50 per cento del compenso spettante a ciascuno dei componenti della commissione straordinaria, nonche’, ove dovuto, il trattamento economico di missione stabilito dalla legge per i dipendenti dello Stato in relazione alla qualifica funzionale posseduta nell’amministrazione di appartenenza. Tali competenze sono a carico dello Stato e sono corrisposte dalla prefettura, sulla base di idonea documentazione giustificativa, sugli accreditamenti emessi, in deroga alle vigenti disposizioni di legge, dal Ministero dell’interno. La prefettura, in caso di ritardo nell’emissione degli accreditamenti e’ autorizzata a prelevare le somme occorrenti sui fondi in genere della contabilita’ speciale. Per il personale non dipendente dalle amministrazioni centrali o periferiche dello Stato, la prefettura provvede al rimborso al datore di lavoro dello stipendio lordo, per la parte proporzionalmente corrispondente alla durata delle prestazioni rese. Agli oneri derivanti dalla presente disposizione si provvede con una quota parte del 10 per cento delle somme di denaro confiscate ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, nonche’ del ricavato delle vendite disposte a norma dell’articolo 4, commi 4 e 6, del decreto-legge 14 giugno 1989, n. 230, convertito, con modificazioni dalla legge 4 agosto 1989, n. 282, relative ai beni mobili o immobili ed ai beni costituiti in azienda confiscati ai sensi della medesima legge n. 575 del 1965. Alla scadenza del periodo di assegnazione, la commissione straordinaria potra’ rilasciare, sulla base della valutazione dell’attivita’ prestata dal personale assegnato, apposita certificazione di lodevole servizio che costituisce titolo valutabile ai fini della progressione di carriera e nei concorsi interni e pubblici nelle amministrazioni dello Stato, delle regioni e degli enti locali.

2. Per far fronte a situazioni di gravi disservizi e per avviare la sollecita realizzazione di opere pubbliche indifferibili, la commissione straordinaria di cui al comma 1 dell’articolo 144, entro il termine di sessanta giorni dall’insediamento, adotta un piano di priorita’ degli interventi, anche con riferimento a progetti gia’ approvati e non eseguiti. Gli atti relativi devono essere nuovamente approvati dalla commissione straordinaria. La relativa deliberazione, esecutiva a norma di legge, e’ inviata entro dieci giorni al prefetto il quale, sentito il comitato provinciale della pubblica amministrazione opportunamente integrato con i rappresentanti di uffici tecnici delle amministrazioni statali, regionali o locali, trasmette gli atti all’amministrazione regionale territorialmente competente per il tramite del commissario del Governo, o alla Cassa depositi e prestiti, che provvedono alla dichiarazione di priorita’ di accesso ai contributi e finanziamenti a carico degli stanziamenti comunque destinati agli investimenti degli enti locali. Le disposizioni del presente comma si applicano ai predetti enti anche in deroga alla disciplina sugli enti locali dissestati, limitatamente agli importi totalmente ammortizzabili con contributi statali o regionali ad essi effettivamente assegnati.

3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano, a far tempo dalla data di insediamento degli organi e fino alla scadenza del mandato elettivo, anche alle amministrazioni comunali e provinciali, i cui organi siano rinnovati al termine del periodo di scioglimento disposto ai sensi del comma 1 dell’articolo 143.

4. Nei casi in cui lo scioglimento e’ disposto anche con riferimento a situazioni di infiltrazione o di condizionamento di tipo mafioso, connesse all’aggiudicazione di appalti di opere o di lavori pubblici o di pubbliche forniture, ovvero l’affidamento in concessione di servizi pubblici locali, la commissione straordinaria di cui al comma 1 dell’articolo 144 procede alle necessarie verifiche con i poteri del collegio degli ispettori di cui all’articolo 14 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203. A conclusione degli accertamenti, la commissione straordinaria adotta tutti i provvedimenti ritenuti necessari e puo’ disporre d’autorita’ la revoca delle deliberazioni gia’ adottate, in qualunque momento e fase della procedura contrattuale, o la rescissione del contratto gia’ concluso.

5. Ferme restando le forme di partecipazione popolare previste dagli statuti in attuazione dell’articolo 8, comma 3, la commissione straordinaria di cui al comma 1 dell’articolo 144, allo scopo di acquisire ogni utile elemento di conoscenza e valutazione in ordine a rilevanti questioni di interesse generale si avvale, anche mediante forme di consultazione diretta, dell’apporto di rappresentanti delle forze politiche in ambito locale, dell’Anci, dell’Upi, delle organizzazioni di volontariato e di altri organismi locali particolarmente interessati alle questioni da trattare.

Articolo 146
Norma finale

1. Le disposizioni di cui agli articoli 143, 144, 145 si applicano anche agli altri enti locali di cui all’articolo 2, comma 1, nonche’ ai consorzi di comuni e province, agli organi comunque denominati delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere, alle aziende speciali dei comuni e delle province e ai consigli circoscrizionali, in quanto compatibili con i relativi ordinamenti.

2. Il Ministro dell’interno presenta al Parlamento una relazione semestrale sull’attivita’ svolta dalla gestione straordinaria dei singoli comuni.

Selvaggi !

“Una comunità che ritiene di potere ignorare coloro che nascono e/o coloro che muoiono è una comunità di selvaggi che si affida ai più selvaggi per essere amministrata” (cit.).

L’EMERGENZA

Finiti i loculi, salme «ospitate»
nelle cappelle di amici e familiari
Il Comune procederà all’esumazione di alcune salme
nei campi comuni, in maniera da creare degli spazi

TRAPANI – Al cimitero di Castellammare del Golfo oltre duecento salme attendono di essere sepolte. A creare l’emergenza è la mancanza di loculi. Alcune bare, in via provvisoria, sono state collocate nelle cappelle di parenti ed amici dei defunti. L’amministrazione comunale, in attesa della costruzione di nuovi loculi, procederà all’esumazione di alcune salme nei campi comuni, in maniera da creare degli spazi.

da Corriere.it

Flexicurity, favorire i giovani, eliminare il dualismo del mercato del lavoro? Tutto fumo

Illuminante per capire come stanno le cose a proposito di articolo 18, lavoro e risanamento della finanza pubblica, questo articolo di Carlo Clericetti pubblicato su “La Repubblica – Economia”.

Trattativa sul lavoro, l’obiettivo indicibile

di CARLO CLERICETTI

La flexicurity, favorire i giovani, eliminare il dualismo del mercato del lavoro? Tutto fumo. Che serve per coprire l’obiettivo vero della cosiddetta riforma, un obiettivo indicibile, perché politicamente inaccettabile non solo dai sindacati, ma soprattutto dal Pd che poi, in Parlamento, a quelle misure dovrà dare il suo voto, pena la caduta del governo. L’obiettivo reale e principale è uno solo: i salari devono diminuire.

Tra le misure imposte alla Grecia c’è stata anche la riduzione del 30% del salari minimi, oltre ai vari tagli a indennità e mensilità aggiuntive dei dipendenti pubblici. Per la Spagna non c’è stato bisogno di imposizioni così plateali: la riforma del lavoro approvata dal nuovo governo conservatore di Mariano Rajoy (tanto lodata dal nostro presidente del Consiglio) prevede tra l’altro che, dopo due trimestri di riduzione dei ricavi, le aziende possano decidere unilateralmente di ridurre le retribuzioni. Per i dipendenti c’è una finta scelta: o accettano, o se ne vanno ottenendo un modesto indennizzo monetario. Vogliamo fare qualche ipotesi su come si comporteranno, in un paese dove la disoccupazione supera il 20%?

Se in Italia fosse rimasto Berlusconi, la cui credibilità era sottozero, anche a noi sarebbe stato imposto un diktat in proposito. Ora che c’è Monti, di cui la signora Merkel si fida, si può lasciare a lui il compito – che però resta lo stesso – in modo da salvaguardare almeno l’apparenza del mantenimento di
una sovranità ormai di fatto evaporata.

Tutto questo accade perché Monti è un “nemico del popolo”? In realtà le personali inclinazioni del presidente del Consiglio in questo caso c’entrano poco. In un altro articolo (“La trappola europea” 1) avevamo cercato di spiegare quali siano i presupposti di questa politica, la cui dimensione non è solo italiana ma europea. Qui basta ricordare che, quando un paese perde competitività (ed è il caso dell’Italia e di tutti gli altri paesi colpiti dalla “cura”), se non può svalutare la moneta – e nessuno dei paesi euro può prendere questa decisione – deve procedere a una “svalutazione interna”, cioè deve fare in modo che prezzi e salari si riducano fino a quando la sua economia non torna competitiva. A quel punto, sostiene questa teoria, il paese aumenta le esportazioni, la bilancia commerciale ritorna in equilibrio, l’economia riparte e tutti tornano felici.

Ma, appunto, di una teoria si tratta, e molti economisti di primo piano sostengono che è completamente sbagliata. Perché nel frattempo il paese in questione entra in recessione, le aziende chiudono, la disoccupazione aumenta, cadono i redditi e il Pil, i conti pubblici peggiorano nonostante i tagli: si alimenta, cioè, una spirale perversa. Lo abbiamo visto in Grecia, lo stiamo vedendo in Portogallo, in Spagna, in Italia. Molto probabilmente tra poco la Francia si unirà al gruppo. Ma finché non se ne convincono i tedeschi, che in questa fase di fatto comandano in Europa, la linea non cambierà.

E veniamo alla nostra “riforma”. Al di là degli escamotage che saranno inventati dai sindacati per salvare la faccia, l’articolo 18 sarà reso completamente inefficace. Dal momento che è ormai scontato che il licenziamento potrà essere motivato da ragioni “economiche o organizzative”, nessun imprenditore sarà così sprovveduto da attuare licenziamenti discriminatori o persino disciplinari: un problema organizzativo – con la necessità di ristrutturazione che hanno tutte le aziende in questa fase – si trova molto facilmente. E allora, con i licenziamenti praticamente liberi, succederà una di queste due cose, o meglio tutt’e due. In parte verrà posta la scelta tra riduzioni di salario o un certo numero di licenziamenti; in parte ci si libererà di una parte di lavoratori più anziani per sostituirli, a minor costo, con giovani che nel migliore dei casi entreranno con il contratto di apprendistato, tre anni – estendibili a cinque – a salario ridotto e con la possibilità di esser mandati via. Ci saranno un po’ di ammortizzatori sociali, ma con una durata inferiore agli attuali e con meno gente che avrà la possibilità di passare – alla loro scadenza – alla pensione, visto che l’età è stata aumentata. Un meccanismo poco appropriato, ma che finora aveva sostituito, anche se non per tutti i lavoratori, le carenze delle protezioni dalla disoccupazione.

C’è un’altra strada? Ci sarebbe, e sono ormai immumerevoli gli appelli e i “manifesti” di economisti e politici che la indicano. L’ultimo è quello dei democratici e progressisti europei che si sono riuniti a Parigi il 17 marzo e hanno diffuso una dichiarazione comune intitolata “Renaissance pour l’Europe”. L’altra strada è quella di non puntare tutto e subito sul risanamento dei bilanci pubblici, che va fatto, ma in modo più graduale e non in una fase di recessione. Di utilizzare strumenti che permettano di stimolare la crescita, come i “project bond” europei, con cui realizzare opere infrastrutturali e investire sull’energia rinnovabile. Di premere a livello di G20 per realizzare una riforma della finanza per cui finora poco o nulla è stato fatto. Insomma, di dosare i tempi dell’aggiustamento e soprattutto di accompagnarlo con misure che favoriscano la ripresa dell’economia, senza la quale gli sforzi dovranno essere molto più pesanti e – soprattutto – rischiano di essere inutili. Questo non significa che si eviterebbero i cosiddetti “sacrifici”, ma certamente sarebbero meno drammatici e il purgatorio durerebbe meno.

Per il momento questa strada alternativa è sbarrata dalla determinazione contraria dei tedeschi e dei loro alleati. Ma nel giro di un anno ci saranno le elezioni politiche nei tre paesi più importanti dell’Eurozona, Germania, Francia e Italia. Se vinceranno i partiti progressisti la musica cambierà. Sperando che non sia troppo tardi.

(20 marzo 2012)

da La Repubblica

*** – Il neretto è di Diarioelettorale

Trapani: Processo per l’omicidio di Mauro Rostagno (25)

Udienza del 14 marzo 2012 del processo per l’uccisione del sociologo e giornalista Mauro Rostagno avvenuta nel piccolo borgo di Lenzi, in territorio di Valderice la sera del 26 settembre 1988 ed in corso di svolgimento davanti alla Corte d’Assise di Trapani.

Alla sbarra il boss mafioso Vincenzo Virga e Vito Mazzara, per l’accusa, rispettivamente, mandante e killer dell’omicidio che sarebbe stato deciso per punire Rostagno per la sua attività giornalistica condotta attraverso l’emittente Rtc ‘Radio Tele Cine’.

Vengono esaminati i testi Francesco Marino Mannoia, e Francesco di Carlo collaboratori di Giustizia.

Francesco Marino Mannoia risponde alle domande del pm Gaetano Paci nella veste di testimone assistito, dopo avere ripetuto la formula di rito.

Francesco Marino Mannoia, presente nel sito riservato, ricostruisce la sua figura di mafioso.

Nella primavera del 75 ha iniziato a far parte di cosa nostra, facendo parte della famiglia di Santa Maria del Gesù di Palermo diretta da Stefano Bontade, si è occupato di delitti, omicidi, della trasformazione di morfina in eroina e di contrabbando di sigarette.
All’interno della famiglia ha fatto parte di una decina ed era alle dirette dipendenze di Stefano Bontade fino alla sua morte nel 81′.
Dopo è stato alle dipendenze della famiglia di Partinico e del suo referente Nenè Geraci (il vecchio).
Ha iniziato a collaborare nel settembre del 89′.

Il pm Paci chiede, qual’era all’epoca la strutture di cosa nostra e quali erano i compiti della commissioni regionali e provinciali.
Mannoia riferisce che le due commissioni si occupavano del controllo totale del territorio. Gli affari di una certa rilevanza venivano sottoposte alla commissione regionale.

Il pm Paci chiede conferma dell’esistenza all’epoca di una commissione trapanese.
Mannoia risponde affermativamente e ricorda alcuni reggenti trapanesi quali i Rimi, i Minore il vecchio Zizzo, Calderone, Di Cristina, molto influenti sono stati Mariano Agate e Procopio di Maggio di Castellammare.
Quando è stato ucciso Stefano Bontade era in carcere, poi è evaso nell’83’ e dopo arrestato nuovamente nell’85.
Ha avuto una lunga detenzione assieme a Francesco Luppino responsabile della strage di Pizzolungo, è stato detenuto con Mariano Agate, e ha frequentato i Rimi e i Minore, ma non era molto assiduo in provincia di Trapani.

Il pm Paci chiede se ha avuto rapporti con alcuni soggetti della Provincia di Trapani per fatti di stupefacenti.
La risposta è affermativa in particolare ricorda Carlo Greco, che era uno dei più attivi nelle raffinerie, Francesco Milazzo, quello ucciso assieme alla fidanzata.
Ha lavorato una partita di eroina per conto di Giuseppe Giacomo Gambino, che si interessava del trapanese.

Il pm Paci chiede come si collocava Mariano Agate all’interno di cosa nostra, con quale fazione.
Mannoia risponde che ” era impenetrabile, ambiguo, era un suddito di Salvatore Riina”, e con grande apprezzamento nei confronti di Ciccio Madonia e dei suoi figli, e di Giuseppe Giacomo Gambino, e di Bernardo Brusca.
Con Mariano Agate “siamo stati assieme al carcere dell’Ucciardone, durante la celebrazione del maxi processo”, non erano nella stessa cella, si vedevano nelle ore d’aria.

Il pm Paci chiede se durante il periodo di detenzione nel carcere dell’Ucciardone a Palermo ha sentito mai parlare del giornalista Mauro Rostagno.
Mannoia lamenta la perdita di memoria conseguente al lungo tempo trascorso e a non avere avuto esperienza diretta del caso Rostagno, Nei ricordi la situazione di Rostagno riaffiora come quella “di Impastato che parlava sempre di Gaetano Badalamenti”.
Di Rostagno “ricordo che parlava sempre male di Mariano Agate”, e Mariano Agate “era infuriato per l’eliminazione di questa persona”.

Lei, essendo in carcere, come viene a conoscenza della vicenda Rostagno?”.
Io l’ho saputo naturalmente dall’ambiente ristretto di cosa nostra”, “non ricordo la circostanza in cui mi fu detto”.

Il pm Paci fa rilevare che il 4 febbraio 1991 Mannoia dichiarò “rammento che verso la fine del 1985 inizio dell’86’, tenuto conto che il 2 febbraio 1986 fummo trasferiti a Palermo, per l’inizio del maxi-processo, ebbi modo di vedere una trasmissione di una emittente televisiva locale nel corso della quale il Rostagno si intratteneva su diversi problemi parlava del territorio”.
Mannoia conferma il contenuto della dichiarazione.

Il pm Paci chiede se assiste alla trasmissione quando era detenuto a Trapani o quando è stato trasferito a Palermo.
Mannoia non ricorda se era a Trapani o all’Ucciardone.

Lei ha fatto riferimento a Mariano Agate ed alla circostanza che Rostagno parlasse di Agate e avesse suscitato in Agate un particolare atteggiamento, ciò è accaduto all’Ucciardone o a Trapani ?
“Sicuramente all’Ucciardone”.

Da chi sentì fare commenti sull’attività giornalistica di Rostagno mentre si trovava in carcere ?
Mannoia non ricorda esattamente, e ricorda che aveva contatti molto ristretti, con Pietro Loiacono, con Pippo Calò con Agate stesso, con i Bono,

Il pm Paci cita precedenti dichiarazioni del Mannoia “alcuni legati all’Agate, tra i quali Di Carlo Giulio e Geraci Nenè commentavano il fatto che il Rostagno ‘rompesse’ a Marianeddu”.
Mannoia conferma queste dichiarazioni.

Giulio Di Carlo e Nenè Geraci dove erano detenuti con lei ?
“All’Ucciardone, alla settima sezione”

Le risulta che conoscessero Mariano Agate ?
“Mariano Agate era persona strettamente legata a questo gruppo”

Lei ricorda e conferma di aver sentito che il Di Carlo e Geraci avevano detto che Rostagno “rompesse” Marianeddu ?
Mannoia conferma. Relativamente all’espressione “rompesse a Marianeddu” dice che “era una situazione assillante nei confronti di Mariano Agate”, quasi quotidiana da parte di Rostagno che definiva Mariano Agate mafioso e che comandava nel territorio”.

Mariano Agate ha mai detto personalmente a lei della attività giornalistica di Mauro Rostagno ?
La risposta è no

Il pm Paci riferisce allora di una dichiarazione dello stesso Mannoia del 4 febbraio 1991 “successivamente lo stesso Agate si lamentò alla mia presenza nel carcere di Palermo durante il maxi-processo, del fatto che il Rostagno gli desse fastidio”
Mannoia conferma la sua dichiarazione.

E’ comunque in grado di ricordare qualche particolare, la ragione per cui l’Agate avesse parlato di Rostagno ?
Il teste risponde che il semplice manifestare un malumore era all’interno di cosa nostra già un voler eliminare qualcuno, ma di avere appreso solo le lamentele di Mariano Agate e non ha certezza di fatti.

Lei è venuto a conoscenza che Mauro Rostagno è stato ucciso e da chi ?
Mannoia ricorda di esserne venuto a conoscenza, ma non ricorda altri particolari.
Non ricorda il periodo esatto in cui è stato eliminato Rostagno, non ricorda se fu nell’87 o ’88.

Per la parte civile l’avvocato Lanfranca chiede se ricorda di cosa si occupava Mariano Agate nel Trapanese.
Mannoia risponde che Mariano Agate era una persona avida di denaro che si occupava di appalti, traffico di droga, calcestrruzzi etc.
Agate si occupava di droga in grande stile nel trapanese e da quando ?
Nel trapanese sono stati tra i primi, la facevano arrivare prima dei palermitani, dalla Tahilandia e dai marsigliesi, dagli Stati Uniti, queste cose le ha sapute da Stefano Bontade.
Raffineria di Alcamo ?
Vincenzo Milazzo era uno degli organizzatori della grande raffineria di Alcamo che poi è stato ucciso assieme alla fidanzata e che ha conosciuto personalmente.
L’avvocato Lanfranca chiede se con riferimento alla raffineria di Alcamo di Milazzo, aveva degli interessi in questa attività il Mariano Agate ?
Questa non è una cosa di cui Mannoia può fornire prove, ma presume di si.

L’avvocato Miceli chiede a Mannoia se ha conosciuto Giovanni Falcone e le circostanze della conoscenza
Mannoia risponde di averlo conosciuto quando è stato trasferito in località protetta, dopo essere passato a collaborare, nel settembre dell ’89 e ciò dopo che erano stati uccisi i suoi familiari tra i quali la madre, la sorella e la zia.
L’avvocato Miceli chiede al teste se ricorda se Falcone gli chiese di riferire su fatti di cosa nostra trapanese.
Mannoia conferma di avere parlato di questo con Falcone. Con Falcone tracciarono la mappa della struttura di cosa nostra, sia delle famiglie che delle commissioni.

Non ci sono altre domande delle parti Civili.

E’ il turno dell’avvocato Vezzadini difensore di Virga il quale torna a chiedere se le trasmissioni televisive le vedeva dall’Ucciardone e cosa ricorda di quel periodo e della vicenda di Rostagno con Mariano Agate.
Mannoia ribadisce di non ricordare in maniera esatta, forse le vedeva a Trapani, che Mariano Agate per quello che sa si lamentò del Rostagno, ed “era palesemente chiaro che aveva un forte interesse” che Rostagno tacesse.
L’avvocato Vezzadini chiede se ha conosciuto Giambattista Agate.
La risposta è affermativa ed il teste conferma trattarsi del fratello di Mariano Agate e non sa se era uomo di cosa nostra.
L’avvocato Vezzadini chiede di riferire di Di Cristina e Calderone quali membri della commissione di Trapani.
Mannoia risponde di sapere che Di Cristina era il fidanzato della sorella di Bontade, ed era della Sicilia centrale, rappresentante di Riesi, Calderone invece era il rappresentante di Catania, a Trapani non avevano ruoli.

Pone le domande ora il Presidente Pellino il quale preliminarmente chiede se Di Cristina era di Riesi e se sa il teste di che provincia si tratti.
Mannoia risponde affermativamente e con provincia di “Agrigento, Caltanissetta”.

Per quello che riguarda il Trapanese, le sue conoscenze si fermano ai Rimi ed ai Minore ?
Si, frequentava poco comunque il trapanese. Aveva rapporti diretti con Procopio Di Maggio di Castellammare ai tempi del maxi-processo.

Nel periodo del maxi processo (86) chi comandava a Trapani ?
Il capo era Mariano Agate, che era di Mazara Del Vallo, il rappresentante di Trapani, forse non c’era.

Il presidente Pellino chiede al teste se ha conosciuto Vincenzo Virga.
Mannoia afferma che è un nome che conosce ma non ha avuto altri rapporti.

Il presidente Pellino chiede quando ha saputo dell’uccisione di Bontade.
L’ha saputo in carcere per radio non ci furono dei contraccolpi, e dopo continuò a fare il suo ruolo di uomo d’onore e ha raffinato quintali e quintali di morfina per conto di Salvatore Riina.
Il presidente Pellino chiede se suo fratello che è stato ucciso era uomo d’onore.
Mannoia risponde che il fratello fu combinato nella famiglia di Ciaculli quando lui era detenuto, ed era con Pino Greco detto “Scarpuzzedda”.
Il presidente Pellino chiede se ha mai saputo da chi e perchè fu ucciso suo fratello.
Mannoia non sa esattamente, come sono andate le circostanze della morte del fratello. Apprese il 21 Aprile dell’89 della sparizione del fratello. Era detenuto all’Ucciardone.
Il presidente Pellino chiede se era detenuto insieme a Mariano Agate.
“Agate era una delle ultime persone che ho salutato assieme a Giuseppe Madonia”.
Il presidente Pellino chiede se nel periodo in cui fu ucciso il fratello ha avuto notizia di altri omicidi.
Riina e Bagarella in quel periodo non andavano tanto d’accordo, dall’Ucciardone si stava organizzando una evasione. Questa evasione non doveva servire per continuare lo sterminio di persone, ma per cercare di porre un freno a quella situazione uscita fuori controllo. Ma l’evasione non si fece più, Pino Greco venne assassinato e con lui gli altri e l’unico che riuscì a salvarsi fu Leoluca Bagarella.
La scomparsa di suo fratello ha a che fare con questi omicidi ?
Mannoia risponde di non saperlo, nonostante tutti i processi e i pentiti.
Il presidente chiede se è’ in grado di ricordare la detenzione con Mariano Agate quando inizia
Con Marianoi Agate ci si vedeva nell’ora d’aria alla settima sezione, ma non sa citare una data esatta

Finita l’audizione del teste Francesco Marino Mannoia.

Corte di nuovo in aula, riprende l’udienza

Si procede con l’audizione del testimone Francesco Di Carlo come teste assistito

Il pm Paci chiede al teste come e quando è entrato in cosa nostra.
Di Carlo risponde di essere entrato in cosa nostra nei primissimi anni sessanta nella famiglia di Altofonte, dove è nato, e ciò fino al 1982.
Da soldato a capodecina e fino ad essere rappresentante della famiglia fino al ’79.
Poi dimessosi, da rappresentante, restò a completa disposizione del capomandamento Bernardo Brusca di San Giuseppe Jato e della commissione (Michele Greco).
Il pm Paci chiede cosa succede nell’82.
Con la guerra di mafia di allora e con gli omicidi a catena senza nessuna pietà, Di Carlo capì che era la fine di Cosa Nostra. Cercò di salvare i Caruana e i Cuntrera, avendo saputo che volevano eliminarli. Ad un certo punto Salvatore Riina gli disse, che se non voleva essere dei loro, poteva andare fuori.
Allora andò in Inghilterra a Londra, nell’82 e aveva solo rapporti con la sua “famiglia” di Altofonte.
E’ stato detenuto in Inghilterra, per 11 anni, dall’85 al ’96 quando è rientrato in Italia.
Durante questo periodo ha avuto rapporti con soldati della sua famiglia, con il fratello e con un cugino, Nino Gioè”.

Il pm Paci chiede come avvenivano i rapporti con la famiglia e con quale altre persone era in contatto.
Oltre ai familiari ha avuto rapporti anche con Benedetto Capizzi e Giovanni Caffrì, che era cognato del fratello Andrea.
I fratelli, lo zio e il nonno facevano parte di Cosa Nostra.
I miei fratelli sono stati combinati da lui. Quando è arrivato in Italia doveva scontare ancora tre anni, ed allora decise di collaborare.
Ha avuto una condanna a 25 anni di reclusione per traffico internazionale di stupefacenti.

Il pm Paci chiede se ha avuto modo di conoscere sia prima di essere detenuto e successivamente, soggetti e attività di Cosa Nostra trapanese.
Di Carlo dice di avere conosciuto tantissimi affiliati a cosa nostra trapanese, “quelli che mi ricordo Antonio, lo chiamavano Totò Minore e Calogero suo fratello, ‘baffone'”.
“Ne conoscevo tanti, c’era qualcuno di Paceco”.
“Poi nell 82′ l’ultima volta che l’ho visto Virga, Vincenzo Virga, a Palermo.
“In quel periodo era sottocapo o consigliere della famiglia di Trapani perchè ancora Totò Minore era in vita”.
“Una volta era assieme con Buccellato, Nicola Buccellato che era il capo della famiglia di Castellammare, per tanto tempo, perchè era una bravissima persona, un “uomo di pace” di Castellammare”.
“Per essere con Buccellato, quando veniva nelle riunioni regionali, in cui si riunivano tutte le province, io andavo ad avvisare a Nicola Buccellato, quando c’era una riunione regionale, e poi lui veniva con il suo consigliere e sottocapo, e una volta mi sembra è venuto con Virga”.
A Marsala ricorda i fratelli D’Amico con i quali era amico.
A Mazara loro, corrente corleonese, avevano Mariano Agate, l’architetto Bruno, “Mastro Ciccio” Francesco Messina, Turiddru Tamburello.

Il pm PAci chiede chi era il rappresentante di cosa nostra a fine anni settanta, inizi anni 80′.
Di Carlo risponde “Il rappresentante era Totò Minore”, successivamente divenne il Virga capomandamento di Trapani.
Nella provincia, “Per tanto tempo fino a che non si è ritirato il vecchio Nicola Buccellato a cui Totò Riina fece uccidere il figlio ed il cugino poi fu eletto il vice, quindi Francesco Messina Denaro ed il vice lo faceva Mariano Agate
L’organismo provinciale era composto da Francesco Messina Denaro, Mariano Agate e Vincenzo Virga.

Il pm Paci chiede se queste persone appartenevano ad altre associazioni segrete.
Cosa nostra palermitana ed in particolare Totò Riina era assolutamente contraria a questo. A Trapani era invece normale.

Il pm Paci chiede se ha sentito parlare di Mauro Rostagno.
Di Carlo risponde che si, ne ha sentito parlare attraverso la stampa ma anche all’interno di Cosa Nostra.

Di Carlo riferisce che quando ha appreso dell’omicidio di Rostagno, ha capito che era Cosa Nostra. Per saperne di più chiese per telefono a Caffrì e Benedetto Capizzi ed ha avuto risposta che l’omicidio era una cosa fatta da Cosa Nostra e non come dicevano i giornali una pista interna alla comunità.
Il pm Paci ricorda a Di Carlo che dal verbale delle sue dichiarazioni ha chiesto a Capizzi anche attraverso dei bigliettini.
Di Carlo conferma la richiesta attraverso i bigliettini.
Crede sia stato Caffri che al telefono gli abbia dato la conferma che l’omicidio Rostagno era avvenuto per mano di Cosa Nostra.
Il pm Paci infine chiede fino a quando Caffrì è stato uno dei suoi interlocutori.
Di Carlo risponde che tale rapporto è durato fino al ’94, perchè poi si trasferi in un posto dove non poteva essere raggiunto.
Il Di carlo è stato indagato e prosciolto in istruttoria per la vicenda Calvi
Il fratello Giulio ha conosciuto Mariano Agate.

Per le parti civili l’avvocato Lanfranca, chiede di Natale L’Ala e se ne conosce una qualche appartenenza alla massoneria.
L’avvocato chiede quindi della loggia Scontrino e di chi fosse affiliato a tale loggia.

L’avvocato Carmelo Miceli chiede del rapporto tra commissione provinciale e capi di mandamento

Tocca ora alla difesa

L’ avvocato Galluffo chiede se conosceva personalmente Mauro Rostagno.
Di Carlo risponde di no.
L’avvocato Galluffo chiede perchè la sua richiesta di informazioni sull’omicidio Rostagno non è avvenuta attraverso il telefono.
Di Carlo risponde perchè usavano frequentemente come mezzo di comunicazione i biglietti, cosa che ritenevano più sicura.
L’avvocato Galluffo chiede del perchè volle sapere chi aveva commesso l’omicidio.
Di Carlo ribadisce che per uno di cosa nostra era normale informarsi e cercare di sapere cosa era accaduto a Trapani e che lui pur essendo detenuto era aggiornato sempre di tutto.

Avvocato Galluffo chiede ancora cosa aveva scritto nel biglettino e quale fu la risposta.
Di Carlo dice di avere chiesto con un qualcosa di simile a un ‘com’è la faccenda di Rostagno ? veramente questa gente l’ha fatto ?’ e la risposta sarebbe stata un qualcosa di simile a ‘No, no, siamo stato noi’ che significava siamo stati noi di cosa nostra.

L’avvocato Galluffo chiede se per gli omicidi si potevano utilizzare dei soldati esterni.
Di Carlo risponde che non sempre si utilizzava questo metodo, si usava se si doveva uccidere uno di cosa nostra, ad esempio a Trapani o Marsala, che essendo piccoli posti ci si conosce tutti tra appartenenti della famiglia, ed allora si utilizzavano persone di fuori.
Per un politico o altra persona al di fuori dell’organizzazione l’omicidio veniva eseguito da quelli del luogo.
Ogni famiglia ha il proprio arsenale.
Se si deve fare un omicidio a Trapani ad esempio, è la famiglia del luogo che mette a disposizione le armi.

Avvocato Vezzadini chiede dettagli della vita carceraria inglese, dei bigliettini e quando doveva chiamare un esponente di cosa nostra come facesse.
Di Carlo risponde narrando anche degli aneddoti e viene ripreso dal presidente, per il linguagio allusivo e poco trasparente, e che c’era una carta prepagata e si metteva in contatto con chi voleva, non sa se nel centralino registravano la chiamata e nell’ultimo periodo di detenzione parlava con il cugino Nino Gioè che si spacciava per suo avvocato.
L’avvocato Vezzadini chiede quindi quando conobbe Virga.
Di Carlo ricorda di averlo visto a fine anni 70′ ad un incontro con Nicola Buccellato di Castellammare che in quel periodo era capo-provincia di Trapani. In occasione di una riunione dopo la morte di Pippo Calderone. Poi ricorda in altre due o tre occasioni. Di Carlo allora organizzava questi incontri regionali e allora veniva Buccellato con Messina Denaro e Virga, e anche un certo Palmeri forse di Santa Ninfa.
L’avvocato Vezzadini chiede se sa che lavoro faceva Virga e se lo ricorda fisicamente.
Di Carlo risponde di non sapere cosa facesse il Virga, era robusto capelli lisci, castano chiaro, corpulento, non molto alto, quando l’ha conosciuto non portava occhiali.

L’avvocato Ingrassia chiede di quando ebbe notizia del caso Rostagno dal Cafrì e se è ancora vivo
Il Cafrì sarebbe stato ucciso nel 97′

L’avvocato Galluffo Senior chiede che grado aveva nella famiglia.
Di Carlo risponde che ha fatto tutti i passaggi di grado, da soldato semplice a capofamiglia.
L’avvocato Galluffo chiede i successivi gradi a soldato quando li ha avuto, prima o dopo il 7 febbraio 1998.
La risposta è prima.
Per questa domanda nasce una contestazione da parte della difesa, ma che trova giustificazione nella successiva domanda.
Avvocato Galluffo chiede se ci si può dimettere solo dal grado.
Di Carlo ribadisce che si, e che lui si è dimesso, ritornando quindi soldato perchè non ammetteva degli omicidi al suo paese.
Fu portato davanti a Bernardo Brusca e si dimise perchè non condividevo il loro operato.
Disse a Brusca di questo e fu affidato alla commissione.

L’avvocato Galluffo chiede se si è interessato nel 1988 ad altri omicidi eclatanti avvenuti a Trapani e se si è interessato dell’omicidio di un Giudice.
Di Carlo risponde che essere informnati era per lui una questione di sopravvivenza, che si è informato anche di altri fatti eclatanti.
L’avvocato Galluffo chiede se si è informato degli omicidi Lima e Moro.
Di Carlo conferma anche questo perchè Lima era suo amico e sa tutto. “Cosa nostra si voleva interessare per liberare Moro, ma non lo hanno voluto i politici a Roma”, lo ha detto anche Cossiga che si volevano rivolgere alla mafia.
Avvocato Galluffo chiede quale era il mezzo di apprendimento delle decisioni della Commissione.
Di Carlo dice che era sempre con Riina, Brusca e Provenzano e sapevo le cose direttamente da loro.
L’avvocato Galluffo chiede se in Italia ha riportato delle condanne.
In Italia non ha riportato nessuna condanna.

Il presidente Pellino chiede di chiarire il passaggio del suo arrivo qui in Italia e di esponenti governativi in visita quando era nel carcere inglese.
Di Carlo dice di avere conosciuto un uomo dei servizi in carcere in Inghilterra e l’ho messo in contatto con Nino Gioè, ma cosa hanno combinato non lo sa.
Poi Nino Gioè si impiccò o lo hanno impiccato.
Il presidente Pellino chiede quali procedimenti pendevano a suo carico in Italia.
Di Carlo dice per associazione mafiosa, e traffico di droga, e quando è rientrato in Ialia ha avuto la condanna, li ha scontati in Italia.
Ha maturato la decisione di collaborare vedendo quello che stava succedendo in Italia. Conosceva il bambino Di Matteo, l’ha tenuto in braccio, anche per questo mi sono pentito. Io ho fatto entrare in cosa nostra tantissima gente, Nino e Ignazio Salvo ad esempio.
Il presidente Pellino chiede se ha deciso di informarsi subito dopo la notizia o quando ha appreso che le indagini e i giornali parlavano di una pista interna.
Di Carlo risponde di si, quando ha visto quello che scrivevano i giornali, fu allora che iniziò a chiedere informazioni e ricevette informazioni dopo pochi mesi.

L’avvocato Ingrassia chiede quanto tempo dopo l’omicidio gli arrivò la telefonata chiarificatrice
Di Carlo risponde, “nel giro di mesi”.

Finite le domande per Di Carlo.

L’udienza è chiusa. Prossima udienza il 28 marzo, verranno sentiti i collaboratori del luogotenente Beniamino Cannas e Carla Rostagno.

La precedente udienza del 29/02/2012 la trovate qui

grazie a Radio Radicale

Vodpod videos no longer available.

Trapani: non c’è pace tra le tonache (4)

Su “La Repubblica” (edizione Palermo), Laura Spanò, oggi fa il punto della situazione dopo la conclusione della missione in diocesi del visitatore apostolico.

Trapani, scandalo alla curia l’ex economo fuori dalla Chiesa

L’intervento del Vaticano conferma la sospensione a divinis. Al centro della vicenda, oggetto di un’indagine penale, la sparizione di un milione di euro

di LAURA SPANO’

E’ il primo punto fermo che emerge da quando, dall’anno scorso, la curia di Trapani si è trovata al centro di gravi scandali. Il vicario della Diocesi, monsignor Liborio Palmeri, ha reso noto che dalla Santa Sede è giunto il decreto con il quale si è confermata la sospensione a divinis di padre Ninni Treppiedi, ex direttore degli uffici amministrativi della curia di Trapani, e per un certo periodo a capo della Chiesa di Alcamo, una delle più antiche e ricche di storia, cultura, ma anche soldi.

Treppiedi “è stato sospeso da tutti gli atti della potestà di ordine e dall’esercizio di qualsiasi incarico o ufficio ecclesiastico”. Nel decreto si fa riferimento alle violazioni, in sostanza una ingente somma di denaro, appartenuta alla Chiesa di Calatafimi-Segesta che non sarebbe stata rendicontata.

Il Vaticano è arrivato prima della magistratura italiana che nel frattempo ha aperto una indagine: la Santa Sede con un decreto firmato dal cardinale Piacenza, ha colpito il sacerdote che adesso, sospeso da ogni funzione, è una sorta di sorvegliato speciale al quale è stato intimato di rendicontare una serie di spese, nell’ordine del milione di euro, fatte per la riparazione alcune chiese nel territorio di Calatafimi.

Padre Treppiedi avrebbe giostrato molto bene le carte profittando del fatto che per un lungo periodo è stato direttore degli uffici amministrativi della Diocesi.

Il Vaticano ha avanzato precise contestazioni che se commesse da un laico comporterebbero l’adozione di misure penali molto gravi: la Santa Sede ha contestato a padre Treppiedi l’appropriazione di 16 mila euro che sarebbero stati pagati “fuori sacco” da un soggetto (che ha confermato la circostanza) che aveva comprato da padre Treppiedi beni ecclesiastici per 40 mila euro; l’appropriazione di denaro per 147 mila euro, soldi presi da conti correnti della chiesa di Calatafimi e che il sacerdote avrebbe monetizzato dopo che la somma è stata divisa su assegni circolari e il relativo utilizzo non sarebbe stato mai rendicontato.

Uno dei mezzi che il sacerdote avrebbe usato per difendersi è stato quella della trascrizione della registrazione di alcuni colloqui: uno di questi è quello che è avvenuto tra i suoi familiari ed il vescovo della Diocesi durante il quale era stata offerta la sua disponibilità “a riparare”.

Al Vaticano anche questa circostanza non è piaciuta, “l’obbligo a riparare al danno arrecato è di chi l’ha causato…significa anche una ammissione che quel danno è stato causato”.

I colpi di scena però non sembrano finiti. Perché tra i punti da chiarire, ma di questo si sta occupando la Procura di Trapani, c’è una lettera a firma del vescovo Micciché che indirizzata al capo della P4 Luigi Bisignani è saltata fuori nei giorni in cui la Diocesi decideva di sospendere padre Treppiedi.

Monsignor Micciché ha dichiarato di non avere mai scritto quella lettera, che costituisce un clamoroso falso accertato dalla Procura ma che rimane un ulteriore tassello di questo mosaico.

(16 marzo 2012)

da La Repubblica

Per capirci di più si rinvia qui, qui, qui, e qui.

Sicilia, per la serie “il più sano c’ha la rogna” (2)

Altra bella pagina di imprenditoria sicula agli onori della cronaca… nera.

Il porto di Palermo è cosa nostra

di Lirio Abbate

Oggi è stata sequestrata per mafia una delle più grosse società portuali della Sicilia. L’Espresso aveva denunciato le infiltrazioni dei boss il 23 novembre 2010. I soci della New Port si erano sentiti offesi, e dopo aver acquistato una intera pagina pubblicitaria sul Giornale di Sicilia in cui respingevano l’inchiesta de l’Espresso, con tante infamità, hanno pure querelato l’autore. I giudici hanno dato ragione ai mafiosi e oggi il giornalista, che aveva provato le collusioni e i contatti con Cosa nostra dei soci, è sotto processo per diffamazione…

Ci sono le mani di uomini delle cosche mafiose nell’assistenza alle navi crociera, ai passeggeri e nella gestione delle merci al porto di Palermo. Un affare da decine di milioni di euro l’anno che si sviluppa sui moli del bacino siciliano.

Questi affiliati a Cosa nostra oggi sono diventati imprenditori, ma hanno speso gli ultimi decenni fra le aule giudiziarie in cui venivano processati, le carceri in cui hanno trascorso parte della loro vita e infine la prima impresa portuale della Sicilia di cui sono diventati soci. La società inquinata dai mafiosi, secondo i documenti di cui è entrato in possesso “L’espresso” , è la New Port spa che ha sempre avuto e continua ad avere un ruolo importante nel mondo portuale, in particolare a Palermo e Termini Imerese, a cui l’Autorità portuale, presieduta dall’ingegnere Nino Bevilacqua, ha affidato compiti professionali con precise direttive. Un incarico che ha permesso alla New Port di fatturare nel 2008 dodici milioni e mezzo di euro.

Numeri importanti per l’economia della città che da tempo cerca di avviare le attività imprenditoriali su un percorso di pulizia. L’Autorità portuale ha imposto direttive ferre alle imprese. Per questo motivo Bevilacqua ha firmato un protocollo di legalità che non lascia spazi a dubbi non solo per quel che riguarda gli appalti ma anche per le concessioni. Ma nessuno sembra voler guardare cosa c’è dietro questa impresa.

Infatti, nel caso in cui la Prefettura guidata da Giuseppe Caruso, viste le relazioni e i precedenti penali dei soci, dovesse rilasciare una informativa antimafia interdittiva, l’Autorità portuale dovrebbe revocare la concessione della gestione dei servizi portuali. Una scelta non semplice, fanno notare a “L’Espresso” alcuni investigatori, per i gravi riflessi negativi che si avrebbero nel funzionamento del porto, a meno di non sostituire l’azienda con un’altra società capace di subentrare, in tempi brevi, nello svolgimento delle attività.

Scorrendo i 209 soci dell’impresa (gran parte dei quali svolgono anche prestazioni lavorative come dipendenti a tempo indeterminato), si scoprono personaggi indicati come appartenenti a Cosa nostra o altri direttamente legati ai boss. Tutto ciò fa pensare agli investigatori che ci sia la concreta possibilità che la New Port possa subire il condizionamento dei clan: il presupposto che potrebbe far negare la certificazione antimafia e cancellare ogni contratto con la pubblica amministrazione.

“L’espresso” ha ricostruito i passaggi giudiziari che riguardano alcuni soci ed è emerso come in passato siano state avviate indagini patrimoniali, discusse davanti ai giudici della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, che hanno disposto il sequestro di quote. Tra chi detiene azioni della New Port ci sono infatti: Girolamo Buccafusca, già condannato per mafia perché ritenuto il capo della famiglia di “Palermo centro”; i cugini Nino e Antonino Spadaro delle famiglia di Corso dei Mille; Giuseppe Onorato, vicino ai mafiosi Rosario Riccobono e Giovanni Graziano della famiglia di Partanna Mondello, fratello del collaboratore di giustizia Francesco Onorato, il sicario della mafia che ha confessato più di trenta omicidi fra cui quello dell’eurodeputato Salvo Lima. E poi ancora Maurizio Gioè, Ferdinando Parrinello, Francesco Abbate e Benedetto Messina, tutti finiti in indagini sui clan.

Questa situazione, per gli investigatori, potrebbe determinare una scarsa trasparenza nella gestione e nell’esecuzione delle gare d’appalto per il nuovo Piano regolatore che prevede di realizzare nel porto opere strutturali per circa 170 milioni di euro.

da L’Espresso.it

Sicilia, per la serie “il più sano c’ha la rogna”

Due notizie ci ricordano tra ieri ed oggi che in Sicilia ci sono anche degli imprenditori, e che imprenditori !

1)

13/03/2012 –

Riciclaggio, indagine internazionale: coinvolto un armatore palermitano

Decine di perquisizioni sono in corso in Italia, Spagna, Lussemburgo, Polonia, Finlandia, Dubai e Monaco per una frode fiscale da oltre 100 milioni. L’imprenditore siciliano Pietro Barbaro avrebbe simulato la compravendita di 6 navi dalla Corea

PALERMO. Decine di perquisizioni sono in corso in Italia, Spagna, Lussemburgo, Polonia, Finlandia, Dubai e Monaco nell’ambito di un’indagine internazionale su una frode fiscale e un maxiriciclaggio di oltre 100 milioni di euro. L’inchiesta è coordinata dall’autorità giudiziaria olandese e coinvolge società di vari Paesi europei.L’inchiesta è partita dall’Olanda dove è stata scoperta una società che «vendeva» false fatture ad aziende di tutta Europa – 12 solo in Italia – e, in cambio intascava percentuali sui rimborsi fiscali e sulle somme evase dagli acquirenti.

Gli imprenditori, dunque, facevano risultare costi per acquisti e operazioni mai sostenute – a Palermo ad esempio l’armatore Pietro Barbaro avrebbe simulato la compravendita di 6 navi dalla Corea -, pagavano la società olandese che aveva fatto avere loro le finte fatture, poi spostavano le somme guadagnate in paradisi fiscali come Dubai, la Svizzera e Monaco. Successivamente i soldi «rientravano» in Italia come capitale costitutivo di nuove società.

Un meccanismo complesso che, secondo indiscrezioni, è stato svelato agli inquirenti olandesi da uno dei due titolari della società che vendeva le false fatture dopo che il socio è fuggito all’estero con il denaro ottenuto dalla maxi frode. L’inchiesta in Italia è stata condotta dalla Guardia di Finanza che ha eseguito perquisizioni in Sicilia, Liguria, Toscana, Lombardia, nel Lazio, in Sardegna e in Emilia-Romagna. A livello internazionale l’indagine è stata coordinata da Eurojust.

da GDS.it

2)

In bilico i 5 miliardi di mister Valtur

La Dia: prestanome di Messina Denaro

Passato al setaccio dagli investigatori il patrimonio di Carmelo Patti: secondo la ricostruzione dell’accusa, sarebbe emersa “una inquietante sperequazione fra redditi e investimenti”. Chiesto dalla Direzione antimafia il sequestro dei beni

di SALVO PALAZZOLO

Si preannuncia già uno dei processi più movimentati degli ultimi anni, perché la posta in gioco è altissima, quasi da record: cinque miliardi di euro, a tanto ammonta il patrimonio che il direttore della Direzione investigativa antimafia chiede di sequestrare. È l’impero economico di Carmelo Patti, il settantottenne imprenditore di Castelvetrano che dal 1998 è il patron di Valtur, la più famosa azienda italiana del turismo.

Le indagini della Dia di Palermo muovono un’accusa pesantissima nei confronti di Patti: essere referente e prestanome del superlatitante Matteo Messina Denaro, di Castelvetrano pure lui. La prima udienza del processo è fissata per il 20 aprile, davanti alla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Trapani. Si può già immaginare un confronto serrato fra la Procura, da poco guidata da Marcello Viola, e il pool di avvocati difensori.

Ci sono tre collaboratori di giustizia a chiamare in causa il patron di Valtur per presunti rapporti con esponenti mafiosi del Trapanese: Nino Giuffrè, l’ex fidato di Bernardo Provenzano; Angelo Siino, che negli anni Ottanta era il “ministro dei Lavori pubblici” di Cosa nostra; e Giovanni Ingrasciotta, conoscitore di molti segreti del clan di Messina Denaro. Siino sarebbe stato addirittura testimone di un incontro fra il cavaliere Patti e Francesco Messina Denaro, il padre di Matteo.

Negli ultimi mesi gli investigatori della Dia di Palermo hanno passato al setaccio il patrimonio dell’imprenditore siciliano:
secondo la ricostruzione dell’accusa, sarebbe emersa “una inquietante sperequazione fra redditi e investimenti”. La Dia aveva sollecitato il sequestro immediato dei beni di Patti, ma il Tribunale non ha accolto la richiesta, ritenendo necessario fissare l’inizio di un procedimento in camera di consiglio.

Per Patti ci sono guai giudiziari anche a Palermo: l’imprenditore risulta indagato dai pm Paolo Guido e Marzia Sabella per favoreggiamento aggravato nei confronti di Messina Denaro. All’indomani del blitz “Golem 2”, nel 2010, subì anche una perquisizione. C’era un elemento, più di tutti, che incuriosiva i magistrati: uno dei collaboratori più stretti di Patti era il fratello della compagna di Messina Denaro, Michele Alagna.

L’impero che la Dia chiede adesso di sequestrare è costituito dalla maggioranza di alcune società che gestiscono una ventina di villaggi turistici della Valtur, ma anche da abitazioni, terreni nella provincia di Trapani e a Robbio, in provincia di Pavia, dove Patti risiede ormai da anni.

Da qualche mese la Valtur è in amministrazione straordinaria: è stata la famiglia Patti a chiederlo al ministro dello Sviluppo economico per far fronte a un pesante indebitamento di 303,6 milioni l’anno, a fronte di un fatturato di circa 200 milioni. Così al timone dell’azienda sono arrivati tre commissari straordinari.

da La Repubblica

Castellammare: alla faccia della sicurezza e dell’incolumità pubblica

Lungo la strada di circonvallazione che da Castellammare del Golfo va in direzione del Belvedere , alcuni pali della pubblica illuminazione sono fatiscenti, e alla base degli stessi, i cavi elettrici, non sono messi in sicurezza ma si trovano in bella vista e scoperti, costituendo ragione di evidente pericolo per chiunque si trovasse a passare in quel tratto di strada.

Hat-Tip Caccuri.info