Apprendisti stregoni tra Rivoluzione francese e Weimar

La decisione quasi salomonica di Giorgio Napolitano di congelare il governo Monti e di nominare due gruppi consultivi sui temi economico-sociali e istituzionali appare ineccepibile, rispettosa della Costituzione e dei rapporti di forza in essere in questo momento. Si tratta di un modo per passare la mano al suo successore, non indebolendo ulteriormente le istituzioni con le sue dimissioni e non contribuendo a creare pericolosissimi vuoti di potere.
Il richiamo al governo Monti in carica più che un qualsiasi attestato di fiducia nei confronti dello stesso Monti da parte dello stesso Napolitano appare un messaggio rivolto all’esterno, una rassicurazione ai mercati ed alle istituzioni europee sul fatto che l’Italia ha un governo e che questo governo, in tale frangente di stallo politico, può far fronte agli impegni presi grazie al “direttorio” costituito dai due comitati creati ad hoc quale interfaccia tra il governo in carica, ancorché dimissionario, e le forze politiche incapaci di accordi.
Quanto alla costituzione di un nuovo governo Napolitano ha dovuto prendere atto che la sua nascita, in modo non lacerante per l’intero paese, era semplicemente impossibile prima dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica.
Berlusconi voleva rassicurazioni sull’elezione di un suo uomo al Quirinale, Gianni Letta, che il Pd (tutto) non ha nessuna intenzione di dare.
I 15 giorni che ci separano dalla convocazione delle camere per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica d’altra parte sono un tempo troppo breve per bruciare un qualsiasi prezioso “grand commis” sull’altare del “governo del Presidente”.

A ben rifletterci quella di Napolitano è la prima presa d’atto politica concreta della presenza del M5s e delle sue posizioni politiche così come sono state rappresentate al Capo dello Stato.
Al momento infatti abbiamo un governo-non governo, una sorta di “direttorio” che può elaborare le necessarie riforme che portino ad uno sblocco della condizione di stallo anche per il futuro, ed un parlamento che su tali proposte può legiferare. In pratica è stata sposata in pieno la tempistica e le modalità di funzionamento delle istituzioni così come suggerito da Grillo.

Grillo ha tutti i motivi e tutte le ragioni per rivendicare una sua vittoria nell’attuale fase politica.

Ora qui si rimane ottimisti, e si continua a confidare nello “stellone”, ma resta il fatto che la costituzione del “direttorio” in Francia prima e la situazione instauratasi con la Repubblica di Weimar in Germania dopo, ebbero esiti che definire “felici” sarebbe parecchio esagerato.

Il collasso della Repubblica di Weimar e l’ascesa di Hitler

Gli ultimi anni della Repubblica di Weimar furono caratterizzati da un’instabilità politica superiore a quella degli anni precedenti. Il 29 marzo 1930 l’esperto di finanza Heinrich Brüning fu nominato da Paul von Hindenburg successore del Cancelliere Müller dopo mesi di lobbismo politico del generale Kurt von Schleicher in favore dei militari. Ci si aspettava che il nuovo governo portasse a uno spostamento verso il conservatorismo, basato sui poteri speciali garantiti dal Reichspräsident in base alla costituzione, in quanto non godeva del supporto della maggioranza nel Reichstag.

Dopo che un decreto impopolare per risanare le finanze del Reich non trovò l’appoggio del Reichstag, Hindenburg stabilì un provvedimento di emergenza basato sull’articolo 48 della costituzione. Il decreto venne di nuovo invalidato il 18 luglio 1930 da un’esigua maggioranza del Reichstag con il supporto di SPD, KPD e delle allora piccole NSDAP e DNVP. Immediatamente dopo, Brüning sottomise al Reichstag il decreto presidenziale con il quale veniva sciolto.

Le successive elezioni generali del Reichstag, il 14 settembre 1930, risultarono un terremoto politico: il 18,3% dei voti andarono alla NSDAP, cinque volte in più della percentuale del 1928. Questo ebbe conseguenze devastanti per la Repubblica: non c’era una maggioranza nel Reichstag neanche per la Grande Coalizione e questo incoraggiò i sostenitori della NSDAP a manifestare le loro richieste di potere con una violenza e un terrore crescenti. A partire dal 1930 la Repubblica scivolò sempre più in uno stato di guerra civile.
Dal 1930 al 1933 Brüning tentò di risanare lo stato che si trovava in una situazione disastrosa e senza una maggioranza in parlamento, governando con l’aiuto dei decreti presidenziali di emergenza. In quel periodo la grande depressione raggiunse il culmine. In linea con le teorie economiche liberali, secondo cui una minore spesa pubblica avrebbe avviato la ripresa economica, Brüning tagliò drasticamente le spese statali. Si aspettava e si accettava che la crisi economica sarebbe per un certo tempo peggiorata prima di iniziare a migliorare. Tra le altre cose il Reich bloccò completamente tutte le concessioni pubbliche per l’assicurazione obbligatoria sulla disoccupazione che era stata introdotta solo nel 1927, il che risultò in maggiori contributi da parte dei lavoratori e minori benefici per i disoccupati, non esattamente una misura popolare.
Il rovescio economico durò fino alla seconda metà del 1932, quando ci furono le prime indicazioni di un rimbalzo. Ma per quel tempo, la Repubblica di Weimar aveva perso tutta la credibilità nei confronti della maggioranza dei tedeschi. Mentre gli studiosi sono in grande disaccordo sulla valutazione da dare alla politica di Brüning, si può tranquillamente dire che contribuì al declino della Repubblica. Se a quell’epoca esistessero o meno alternative rimane oggetto di ampio dibattito.
Nell’aprile del 1932, Hindenburg venne rieletto Reichspräsident, superando al secondo turno Hitler per sei milioni di voti. Nonostante Brüning avesse appoggiato fortemente la rielezione di Hindenburg, ne perse la fiducia e dovette dimettersi il 30 maggio.
Hindenburg incaricò quindi come nuovo Reichskanzler Franz von Papen, che aveva il supporto di Hitler, ma a prezzo di una serie di richieste:
il Reichstag sarebbe stato sciolto di nuovo per indire nuove elezioni;
il bando delle SA, imposto dopo gli scontri di strada, doveva essere tolto;
il governo socialista della Prussia sarebbe stato dismesso con decreto d’emergenza.
Le elezioni generali per il Reichstag del 31 luglio 1932 portarono il 37,2% dei voti alla NSDAP. Hitler ora richiedeva di essere nominato cancelliere, ma la richiesta venne rifiutata da Hindenburg il 13 agosto. Non c’era ancora una maggioranza al Reichstag per nessun governo; come risultato, il Reichstag fu sciolto nuovamente e si rifecero le elezioni con la speranza che ne risultasse una maggioranza stabile.
Non fu così. Il 6 novembre 1932 le elezioni diedero il 33,0% dei voti alla NSDAP, che perse più del 4%. Il 3 dicembre Franz von Papen si dimise, sostituito come Reichskanzler, dal generale von Schleicher. Il suo audace piano di formare una maggioranza all’interno del Reichstag, riunendo i sindacalisti di sinistra dei vari partiti, compresi quelli della NSDAP guidati da Gregor Strasser, non ebbe successo.
Il 4 gennaio 1933, Hitler si incontrò in segreto con von Papen in casa del banchiere di Colonia Kurt von Schroeder. Si accordarono sulla formazione di un governo di coalizione: oltre a Hitler, solo altri due membri della NSDAP avrebbero fatto parte del governo del Reich (Wilhelm Frick come Ministro degli Interni e Hermann Göring come Commissario per la Prussia), con von Papen come Vicecancelliere di Hitler. Del nuovo gabinetto avrebbe fatto parte anche l’influente magnate dei media Alfred Hugenberg, che era segretario dell’altro partito di destra dell’epoca, la DNVP.
Quando il piano venne finalmente presentato a Hindenburg, questi nominò Hitler come il nuovo Reichskanzler il 30 gennaio 1933. Anche se von Hindenburg diffidava di Hitler e disapprovava fortemente la violenza politica dei nazisti, e aveva sconfitto Hitler nelle elezioni presidenziali del 1932, condivise, sia pure con riluttanza, la teoria di von Papen secondo cui, con il supporto popolare ai nazisti che stava scemando, Hitler poteva essere controllato come Cancelliere. Questa data viene comunemente considerata come l’inizio della Germania Nazista e venne di conseguenza battezzata Machtergreifung (“presa del potere”) dalla propaganda nazista.
Il nuovo governo instaurò la dittatura con una serie di misure in rapida successione seguendo la filosofia della Gleichschaltung. Il 27 febbraio 1933 l’edificio del Reichstag venne ridotto in cenere, della qual cosa i nazisti si avvantaggiarono con il Decreto dell’incendio del Reichstag. Le successive elezioni del Reichstag, il 5 marzo 1933, portarono il 43,9% dei voti alla NSDAP; vennero piantati gli ultimi chiodi nella bara della Repubblica di Weimar, con l’approvazione della Ermächtigungsgesetz, la legge dei pieni poteri, del 23 marzo 1933, che diede formalmente a Hitler il potere di governare per decreto e di smantellare a tutti gli effetti i resti della costituzione di Weimar. Alla morte di Hindenburg, il 2 agosto 1934, Hitler fuse assieme gli uffici di Reichspräsident e di Reichskanzler e si reinsediò con il nuovo titolo di Führer und Reichskanzler.

Appunto per Grillo ed i grillini: “leggere Giambattista Vico !”

Ok chiuso, Bersani ha fatto ciò che doveva fare nella situazione data, non ha trovato sponda nel M5s il quale si è rivelato qualcosa di diverso da ciò che era lecito aspettarsi che fosse.
Da parte Pdl si dice che Bersani ha sbagliato a percorrere la strada di un accordo con il M5s e a sbarrare il passo ad un accordo con loro, per come sarebbe invece avvenuto in un ogni paese europeo, come ad esempio in Germania.
E’ vero però che in Germania il giudizio che l’elettore della Spd (la corrispondente formazione di sinistra)  è portato a dare sulla Merkel (la corrispondente leader della destra) e sulla sua classe dirigente non è nemmeno lontanamente paragonabile a quello che l’elettore del Pd dà di Berlusconi e della sua classe dirigente.
Se il giudizio di “impresentabili”, riferito ai dirigenti Pdl, pronunciato dalla giornalista Lucia Annunziata nella sua veste di intervistatrice televisiva, è da classificare come infelice ed inopportuno, tuttavia è pur vero che è ciò che pensa la stragrande maggioranza dell’elettorato ad esclusione soltanto di quello dello stesso Pdl.

C’è da considerare poi che la campagna elettorale di Grillo da un lato e di Berlusconi dall’altro pur essendosi già celebrate le elezioni, non si è affatto fermata e viene continuata da entrambi, all’inseguimento l’uno del 100% dell’elettorato e l’altro della maggioranza in eventuali e altamente probabili nuove elezioni a distanza ravvicinata.
Il Pdl in questa rincorsa della maggioranza, ha giocato di rimessa, ed ha avuto buon gioco a far apparire Bersani ed il Pd, la causa da rimuovere per arrivare ad un governo del paese.
Berlusconi si è offerto per larghe intese proponendo condizioni, che sapeva bene l’interlocutore (Bersani in primis) non avrebbe potuto accettare.
Ciò ha alimentato la divisione (per ora solo sotterranea) nel campo avversario e contemporaneamente, con una martellante presenza in voce nei principali telegiornali televisivi ha sottolineato in prima persona tutti i passaggi della crisi e continuando ad offrire la sua disponibilità ha rafforzato l’immagine di forza responsabile di governo.
Effetto di tale strategia è oggi un consenso in crescita e sopratutto il trovarsi una fetta sempre maggiore di elettorato “caldo”, ben disposto verso le sue argomentazioni di “grande pacificatore” nazionale.
E’ per questo che Berlusconi grazie anche alla sponda offertagli da Grillo è passato dal rischio di perdere tutto all’avere tutto da guadagnare da qualsiasi soluzione.

Sarà la storia a dire se alla fine Grillo avrà avuto ragione nel contribuire in modo certo e determinante a fare uscire Berlusconi dall’angolo e a rilanciarlo.
Qui per ora ci si limita alla presa d’atto della conferma ancora una volta della validità del principio detto della “eterogenesi dei fini“.

‘La concezione dell'”eterogenesi dei fini” fu teorizzata per la prima volta da Giambattista Vico, secondo cui la storia umana contiene in sé potenzialmente la realizzazione di certe finalità. In questo senso dunque ben si comprende che il percorso evolutivo dell’uomo è mirato al raggiungimento, tappa dopo tappa, di un qualche fine. Tale percorso non è però da intendersi come lineare. Può accadere che, mentre ci si propone di raggiungere alti e nobili obiettivi, la storia arrivi a conclusioni opposte.
« Pur gli uomini hanno essi fatto questo mondo di nazioni […] ma egli è questo mondo, senza dubbio, uscito da una mente spesso diversa ed alle volte tutta contraria e sempre superiore ad essi fini particolari ch’essi uomini si avevan proposti.»
Talvolta infatti l’umanità corre il rischio del “ricorso”, ossia rischia di tornare indietro nel prestabilito percorso di auto-miglioramento a causa di errori di natura sociale e/o politica (inaridimento del sapere, perdita di memoria storica). Ma il “ricorso” è soltanto temporeaneo. Con forza, coraggio, fatica e sofferenza ogni volta l’umanità ha saputo e saprà sempre riprendere il suo cammino progressivo.‘ – Wikipedia

The winner is… Ignazio Visco !

Attenti che qui si gioca d’azzardo nel mentre, nella mattinata del ventotto marzo 2013, la candidatura di Pierluigi Bersani a prossimo Presidente del Consiglio è ancora in piedi.
Tuttavia le probabilità che il leader della coalizione risultata vincente alle recenti elezioni possa ottenere questa sera l’incarico per la formazione del governo, sono prossime allo zero, in considerazione che un eventuale governo dallo stesso presieduto non avrebbe “maggioranza certa” per come chiesto dal Presidente della Repubblica.
D’altra parte il riaccendersi della crisi finanziaria in conseguenza dei fatti di Cipro non consente ulteriori esposizioni del nostro paese ai venti della speculazione finanziaria internazionale.
Ovvio quindi che il Presidente Giorgio Napolitano farà al più presto ciò che si sente in dovere di fare, affidare l’incarico per la formazione del governo ad una personalità autorevole, in grado di garantire i mercati e sufficientemente terza rispetto agli schieramenti politici.
Chi se non Ignazio Visco governatore della Banca d’Italia ha tali caratteristiche ?
Sarà un governo di responsabilità nazionale, un governo tecnico con ministri del tutto nuovi, un esecutivo che nascerà e vivrà su pochi punti programmatici con qualche moderata (moderatissima) strizzata d’occhi anche ai grillini.

Il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco

Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco

La mia banca è differente !

La mia banca è il materasso.

Una ditta spagnola di materassi, la Des’s ha pensato bene di adattare alla contemporaneità la sua produzione di materassi.
Voi penserete abbia adottato molle più ergonomiche, nuove formulazioni per il lattice, nuovi tessuti, oppure lavorato sulla rigidità e/o sulla deformabilità ?
No, vi state sbagliando.
Ha pensato bene di metterci dentro una cassaforte !
Ed è nata così la “Caja de Ahorros Mi Colchón

qui il sito della ditta spagnola.

Castellammare del Golfo, verso le elezioni amministrative (8): Dell’amore e della morte !

Ovvero: Castellammare del Golfo come Euridice ?

Fioriscono nelle realtà locali che andranno al voto in Sicilia per rinnovare sindaci e consigli comunali, e tra queste Castellammare del Golfo, formazioni politiche che nel nome manifestano l’amore per le realtà locali in cui nascono e negli enunciati tentano, all’insegna del civismo, di cavalcare anchessi l’onda dell’antipolitica .
Così se a Custonaci nasce SìAMO Custonaci a sostegno della candidatura a Sindaco della città dei marmi dell’ingegnere Giuseppe Bica (persona non nuova alla politica), a Castellammare del Golfo si propone SìAmo Castellammare, lista civica che nasce dall’iniziativa di nove consiglieri comunali uscenti i quali vinte le elezioni del 2008 appoggiando entusiasticamente il sindaco Marzio Bresciani, in seguito lo hanno appoggiato in modo sempre meno convinto, fino a passare decisamente all’opposizione (a dimostrazione della bontà iniziale delle loro scelte) e che ora ritenendo di avere acquisito l’esperienza giusta nei passati cinque anni di mandato consiliare, si ripropongono per la rielezione nella certezza di sapere “ora” cosa fare per il futuro ed animati da tanto ma tanto amore per la nostra città.

Amore e morte: il mito di Orfeo ed Euridice

In greco i termini per dire Amore e Morte sono Eros e Thanatos tuttavia l’amore in Grecia era di volta in volta follia, mania, estasi, sofferenza, quasi sempre esperienza voluttuosa, da vivere o da rimpiangere e l’associazione fra amore e morte non è appartenuta, se non marginalmente, alla cultura greca.
La morte ed il conseguente desiderio di dissoluzione che traspare già nelle assai diffuse formule del tipo “mi fai morire!”, “ti amo da morire”, si legherà all’amore solo a partire dal Cinquecento, quando la danza macabra, malinconica e casta, propria fin li della morte, verrà trasformata in una lasciva danza erotica.
Vi è chi ha visto tuttavia nel mito di Orfeo, che scende negli inferi a pretendere la sua Euridice, una sorta di anticipazione del legame tra amore e morte, in quanto Orfeo, con la sua musica, con la sua vitalità e i suoi entusiasmi, porrebbe l’amore in contrapposizione alla morte e con tale consapevolezza scende nell’Ade a negoziare altri giorni di gioia tra se e l’amata già morta.
L’epilogo della storia è noto a tutti: Orfeo ottiene dagli dei degli inferi il permesso di resuscitare Euridice, a patto che non si giri a guardarla finché non saranno usciti dall’Ade, ma proprio sul limite Orfeo si gira e perde per sempre l’amata.

Perché Orfeo si gira ?

In una bella canzone dal titolo di “Euridice“, Roberto Vecchioni sulla scia del Cesare Pavese dei Dialoghi con Leucò spiega il voltarsi di Orfeo in modo non convenzionale, immaginando che ottenuto ciò che agognava Orfeo ora abbia paura che Euridice, dopo aver assaporato il freddo della morte non riesca più a scaldarsi al fuoco dell’amore, che sia insomma morta dentro, anche se apparentemente viva.

Ecco “morta dentro”, ma apparentemente viva, proprio come questa città, proprio come Castellammare del Golfo.

Euridice – Roberto Vecchioni

Morirò di paura
e venire là in fondo,
maledetto padrone
del tempo che fugge,
del buio e del freddo:
ma lei aveva vent’anni
e faceva l’amore,
e nei campi di maggio,
da quando è partita,
non cresce più un fiore …
E canterò,
stasera canterò,
tutte le mie canzoni canterò,
con il cuore in gola canterò:
e canterò la storia delle sue mani
che erano passeri di mare,
e gli occhi come incanti d’onde
scivolanti ai bordi delle sere;
e canterò le madri che
accompagnano i figli
verso i loro sogni,
per non vederli più, la sera,
sulle vele nere dei ritorni;
e canterò finché avrò fiato,
finché avrò voce di dolcezza e rabbia
gli uomini, segni dimenticati,
gli uomini, lacrime nella pioggia,
aggrappati alla vita che se ne va
con tutto il furore dell’ultimo bacio
nell’ultimo giorno dell’ultimo amore;
e canterò finché tu piangerai,
e canterò finché tu perderai,
e canterò finché tu scoppierai
e me la ridarai indietro.

Ma non avrò più la forza
di portarla là fuori,
perché lei adesso è morta
e là fuori ci sono la luce e i colori:
dopo aver vinto il cielo
e battuto l’inferno,
basterà che mi volti
e la lascio nella notte,
la lascio all’inverno…

e mi volterò
le carezze di ieri
mi volterò
non saranno mai più quelle
mi volterò
e nel mondo, su, là fuori
mi volterò
s’intravedono le stelle

mi volterò perché l’ho visto il gelo
che le ha preso la vita,
e io, io adesso, nessun altro,
dico che è finita;
e ragazze sognanti m’aspettano
a danzarmi il cuore,
perché tutto quello che si piange
non é amore.
e mi volterò perché tu sfiorirai,
mi volterò perché tu sparirai,
mi volterò perché già non ci sei
e ti addormenterai per sempre.

L’Inconsolabile
da Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese

Il sesso, l’ebbrezza e il sangue richiamarono sempre il mondo sotterraneo e promisero a più d’uno beatitudini ctonie. Ma il tracio Orfeo, cantore, viandante nell’Ade e vittima lacerata come lo stesso Dionisio, valse di più.(Parlano Orfeo e Bacca).

Orfeo: E’ andata così. Salivamo il sentiero tra il bosco delle ombre. Erano già lontani Cocito, lo Stige, la barca, i lamenti. S’intravvedeva sulle foglie il barlume del cielo. Mi sentivo alle spalle il fruscìo del suo passo. Ma io ero ancora laggiù e avevo addosso quel freddo. Pensavo che un giorno avrei dovuto tornarci, che ciò ch’è stato sarà ancora. Pensavo alla vita con lei, com’era prima; che un’altra volta sarebbe finita. Ciò ch’è stato sarà. Pensavo a quel gelo, a quel vuoto che avevo traversato e che lei si portava nelle ossa, nel midollo, nel sangue. Valeva la pena di rivivere ancora? Ci pensai, e intravvidi il barlume del giorno. Allora dissi “Sia finita” e mi voltai. Euridice scomparve come si spegne una candela. Sentii soltanto un cigolìo, come d’un topo che si salva.

Bacca: Strane parole, Orfeo. Quasi non posso crederci. Qui si
diceva ch’eri caro agli dèi e alle muse. Molte di noi ti seguono
perché ti sanno innamorato e infelice. Eri tanto innamorato che – solo tra gli uomini – hai varcato le porte del nulla. No, non ci credo, Orfeo. Non è stata tua colpa se il destino ti ha tradito.

Orfeo: Che c’entra il destino. Il mio destino non tradisce. Ridicolo che dopo quel viaggio, dopo aver visto in faccia il nulla, io mi voltassi per errore o per capriccio.

Bacca: Qui si dice che fu per amore.

Orfeo: Non si ama chi è morto.

Bacca: Eppure hai pianto per monti e colline – l’hai cercata e chiamata – sei disceso nell’Ade. Questo cos’era?

Orfeo: Tu dici che sei come un uomo. Sappi dunque che un uomo non sa che farsi della morte. L’Euridice che ho pianto era una stagione della vita. Io cercavo ben altro laggiù che il suo amore. Cercavo un passato che Euridice non sa. L’ho capito tra i morti mentre cantavo il mio canto. Ho visto le ombre irrigidirsi e guardar vuoto, i lamenti cessare, Persefòne nascondersi il volto, lo stesso tenebroso-impassibile, Ade, protendersi come un mortale e ascoltare. Ho capito che i morti non sono più nulla.

Bacca: Il dolore ti ha stravolto, Orfeo. Chi non rivorrebbe il passato? Euridice era quasi rinata.

Orfeo: Per poi morire un’altra volta, Bacca. Per portarsi nel sangue l’orrore dell’Ade e tremare con me giorno e notte. Tu non sai cos’è il nulla.

Bacca: E così tu che cantando avevi riavuto il passato, l’hai respinto e distrutto. No, non ci posso credere.

Orfeo: Capiscimi, Bacca. Fu un vero passato soltanto nel canto. L’Ade vide se stesso soltanto ascoltandomi. Già salendo il sentiero quel passato svaniva, si faceva ricordo, sapeva di morte. Quando mi giunse il primo barlume di cielo, trasalii come un ragazzo, felice e incredulo, trasalii per me solo, per il mondo dei vivi. La stagione che avevo cercato era là in quel barlume. Non m’importò nulla di lei che mi seguiva. Il mio passato fu il chiarore, fu il canto e il mattino. E mi voltai.

Bacca: Come hai potuto rassegnarti, Orfeo? Chi ti ha visto al ritorno facevi paura. Euridice era stata per te un’esistenza.

Orfeo: Sciocchezze. Euridice morendo divenne altra cosa. Quell’Orfeo che discese nell’Ade, non era più sposo né vedovo. Il mio pianto d’allora fu come i pianti che si fanno da ragazzo e si sorride a ricordarli. La stagione è passata. Io cercavo, piangendo, non più lei ma me stesso. Un destino, se vuoi. Mi ascoltavo.

Bacca: Molte di noi ti vengon dietro perché credevano a questo tuo pianto. Tu ci hai dunque ingannate?

Orfeo: O Bacca, Bacca, non vuoi proprio capire? Il mio destino non
tradisce. Ho cercato me stesso. Non si cerca che questo.

Bacca: Qui noi siamo più semplici, Orfeo. Qui crediamo all’amore e alla morte, e piangiamo e ridiamo con tutti. Le nostre feste più gioiose sono quelle dove scorre del sangue. Noi, le donne di Tracia, non le temiamo queste cose.

Orfeo: Visto dal lato della vita tutto è bello. Ma credi a chi è stato tra i morti… Non vale la pena.

Bacca: Un tempo non eri così. Non parlavi del nulla. Accostare la morte ci fa simili agli dèi. Tu stesso insegnavi che un’ebbrezza travolge la vita e la morte e ci fa più che umani… Tu hai veduto la festa.

Orfeo: Non è il sangue ciò che conta, ragazza. Né l’ebbrezza né il sangue mi fanno impressione. Ma che cosa sia un uomo è ben difficile dirlo. Neanche tu, Bacca, lo sai.

Bacca: Senza di noi saresti nulla, Orfeo.

Orfeo: Lo dicevo e lo so. Ma poi che importa? Senza di voi sono disceso all’Ade…

Bacca: Sei disceso a cercarci.

Orfeo: Ma non vi ho trovate. Volevo tutt’altro. Che tornando alla luce ho trovato.

Bacca: Un tempo cantavi Euridice sui monti…

Orfeo: Il tempo passa, Bacca. Ci sono i monti, non c’è più Euridice. Queste cose hanno un nome, e si chiamano uomo. Invocare gli dèi della festa qui non serve.

Bacca: Anche tu li invocavi.

Orfeo: Tutto fa un uomo, nella vita. Tutto crede, nei giorni. Crede perfino che il suo sangue scorra alle volte in vene altrui. O che quello che è stato si possa disfare. Crede di rompere il destino con l’ebbrezza. Tutto questo lo so e non è nulla.

Bacca: Non sai che farti della morte, Orfeo, e il tuo pensiero è solo morte. Ci fu un tempo che la festa ci rendeva immortali.

Orfeo: E voi godetela la festa. Tutto è lecito a chi non sa ancora. E’ necessario che ciascuno scenda una volta nel suo inferno. L’orgia del mio destino è finita nell’Ade, finita cantando secondo i miei modi la vita e la morte.

Bacca: E che vuol dire che un destino non tradisce?

Orfeo: Vuol dire che è dentro di te, cosa tua; più profondo del sangue, di là da ogni ebbrezza. Nessun dio può toccarlo.

Bacca: Può darsi, Orfeo. Ma noi non cerchiamo nessuna Euridice. Com’è dunque che scendiamo all’inferno anche noi?

Orfeo: Tutte le volte che s’invoca un dio si conosce la morte. E si scende nell’Ade a strappare qualcosa, a violare un destino. Non si vince la notte, e si perde la luce. Ci si dibatte come ossessi.

Bacca: Dici cose cattive… Dunque hai perso la luce anche tu?

Orfeo: Ero quasi perduto, e cantavo. Comprendendo ho trovato me stesso.

Bacca: Vale la pena di trovarsi in questo modo? C’è una strada più semplice d’ignoranza e di gioia. Il dio è come un signore tra la vita e la morte. Ci si abbandona alla sua ebbrezza, si dilania o si vien dilaniate. Si rinasce ogni volta, e ci si sveglia come te nel giorno.

Orfeo: Non parlare di giorno, di risveglio. Pochi uomini sanno. Nessuna donna come te, sa cosa sia.

Bacca: Forse è per questo che ti seguono, le donne della Tracia. Tu sei per loro come il dio. Sei disceso dai monti. Canti versi di amore e di morte.

Orfeo: Sciocca. Con te si può parlare almeno. Forse un giorno sarai come un uomo.

Bacca: Purché prima le donne di Tracia…

Orfeo: Di’.

Bacca: Purché non sbranino il dio.

su Cesare Pavese ed i Dialoghi con Leucò vi consiglio questo saggio.

Castellammare del Golfo, verso le elezioni amministrative (7): Non si vota più a maggio ma a giugno !

(ANSA) – PALERMO, 25 MAR – Per il rinnovo di sindaci e consigli comunali in Sicilia si votera’ il 9 e 10 giugno prossimo e non piu’ il 26 e 27 maggio. Lo ha stabilito la giunta regionale che ha dato mandato all’assessore alle Autonomie locali di decretare la nuova data. La decisione e’ stata assunta per consentire all’Ars di esaminare il disegno di legge sulla doppia preferenza di genere, gia’ in discussione in commissione Affari istituzionali.

Un (quasi) castellammarese al Quirinale ?

Tra i nomi che circolano in questi giorni per la Presidenza della Repubblica, è spuntato oggi su La Repubblica quello di Sergio Mattarella , cattolico già deputato e più volte ministro, attualmente giudice costituzionale e (quasi) nostro concittadino essendo nato si a Palermo il 23 luglio 1941, ma figlio del castellammarese Bernardo e fratello del castellammarese Piersanti.

Di lui dice Wikipedia:

“Di famiglia di tradizione democratica cristiana, figlio di Bernardo Mattarella e fratello di Piersanti, è stato docente di Diritto parlamentare presso l’Università di Palermo.
Esponente della Democrazia Cristiana, diviene Deputato dal 1983, ministro dei rapporti con il Parlamento nei governi De Mita e Goria, al dicastero della pubblica istruzione nel Governo Andreotti VI, fino alle dimissioni, avvenute, insieme a quelle di altri ministri, per protestare contro l’approvazione della legge Mammì[1].
Direttore del quotidiano Il Popolo dal 1992 al 1994[1], Mattarella è stato uno dei principali rappresentanti del rinnovamento della Democrazia Cristiana che portò alla formazione del Partito Popolare Italiano. Porta il suo nome la riforma della legge elettorale in senso maggioritario (giornalisticamente nota anche con l’appellativo datogli da Giovanni Sartori di Mattarellum) approvata nell’agosto del 1993. Nel 1996, con la nuova legislatura a maggioranza ulivista, viene eletto capogruppo dei deputati popolari. Durante il governo D’Alema I ha assunto la carica di vicepresidente del Consiglio[1], mentre nei successivi Governo D’Alema II e Governo Amato II è stato Ministro della Difesa.
Nel 2001 viene rieletto alla Camera dei deputati nelle liste della Margherita, dal 2001 al 2002 ricopre l’incarico di vicepresidente del Comitato per la legislazione, che poi presiederà fino al 2003.
Alle elezioni politiche del 2006 è riconfermato deputato per la lista dell’Ulivo. È cessato dal mandato parlamentare il 28 aprile 2008.
Il 5 ottobre 2011 è stato eletto giudice della Corte costituzionale dal Parlamento in seduta comune. Ha giurato l’11 ottobre.”.

Attribuzione: Presidenza della Repubblica

Quirinale, Roma, Giuramento del giudice costituzionale Sergio Mattarella

Per inquadrare meglio i valori politici di cui è portatore Sergio Mattarella può essere utile questo nostro post

Castellammare del Golfo, verso le elezioni amministrative (6): Siamo a questo punto

Un castellammarese sorpreso nel gesto del “facepalm” nel momento in cui apprende il nome di un possibile candidato a Sindaco.

Castellammare del Golfo

Elezioni amministrative 2013

Dicesi “facepalm”:

Un facepalm (a volte anche face-palm o face palm) è il gesto fisico di posizionare una mano aperta sopra il viso o di abbassare il viso all’interno di una o due mani. Il gesto è usato in molte culture come segnale di frustrazione, imbarazzo, shock o sorpresa.
Il gesto non è di recente origine, e sebbene comune, non è culturalmente universale. Jim Horne lo usò nel 1953. Da allora è diventato popolare come un meme di internet basato sull’immagine del personaggio del Capitan Jean-Luc Picard che eseguiva il gesto in Star Trek: The Next Generation nell’episodio Dèjà Q. Immagini di agenti di borsa “facepalmanti” sono state ampiamente utilizzate dai media per comunicare l’abbattimento associato ad andamenti negativi della borsa valori, e a un’ampia varietà di film considerati brutti, affari, e decisioni politiche sono state descritte come facepalms o “momenti da facepalm”. Secondo la lessicografa Susie Dent della Oxford University Press, questa versatilità è una delle ragioni per cui la parola è stata linguisticamente un “successo”.
Il gesto non è proprio solo dell’uomo. Un gruppo di mandrilli dello zoo di Colchester ha adottato un gesto simile per indicare il desiderio di evitare relazioni sociali o di essere lasciati soli“.