Crisi, ora tocca alla Francia

Spread, ora trema la Francia

Parigi – Sale la tensione sul debito della Francia, con una contrazione del Pil nel secondo trimestre e uno spread che supera la soglia record dei 190 punti, segno che il Paese non gioca più nella prima divisione della zona euro. Tanto che un numero sempre maggiore di osservatori comincia a chiedersi se Parigi meriti davvero la tripla A, la massima votazione delle agenzie di rating, normalmente attibuita ai primi della classe.
Giorno dopo giorno, il timore che la Francia sia la prossima nella lista dopo Grecia, Italia, Spagna, Portogallo, si fa più concreto. Nonostante l’Insee, l’istituto nazionale di statistica, abbia annunciato oggi una crescita del +0,4% (invece del 0,3% previsto) nel terzo trimestre 2011, ha dovuto rivedere al ribasso di 0,1 punti il secondo trimestre. Un dato inquietante, visto che è la prima volta, dal 2009, che il Pil della Francia diminuisce. Mentre lo spread, vale a dire il differenziale tra i Btp decennali francesi e il Bund tedesco, ha superato oggi i 190 punti (1,90%), una situazione inimmaginabile appena qualche mese fa, la scorsa primavera, quando era al di sotto dei 40 punti.

La situazione economica della Francia è «difficilmente compatibile» con la tripla A, sottolinea oggi uno studio presentato a Bruxelles dalla banca tedesca Berenberg e dal think tank europeo `The Lisbon Council´, che pubblica un barometro intitolato Euro Plus Monitor. Secondo il rapporto – che analizza crescita, competitivita e sostenibilità del debito – la salute generale della Francia si piazza al 13/esimo posto, tra la Spagna (12/esima) e l’Italia (14/esima), che sono attualmente nel mirino dei mercati e delle agenzie di rating. «Per la Francia bisognerebbe tirare il campanello d’allarme», avverte ancora lo studio, aggiungendo: «Tra i sei Paesi che godono della tripla A nella zona euro, la Francia ha ottenuto il peggior voto». E ancora: «I risultati sono troppo mediocri per un Paese che vuole rimanere in testa». Non è d’accordo il ministro francese agli affari europei, Jean Leonetti, che sempre da Bruxelles ha detto che la Francia «non è la Germania» ma «resta credibile».

«Per il mercato è fatta. La Francia merita al massimo una doppia A», sottolinea invece Frederik Ducrozet, economista di Credit Agricole. Da parte loro, le agenzie di rating mantengono la tripla A ma a metà ottobre Moody’s si è riservata tre mesi di tempo per rivalutare la situazione. E l’errore dell’agenzia di rating Standard & Poor’s, che giovedì scorso ha abbassato «per errore» il rating della Francia, non ha certo contribuito a rassicurare i mercati.

Per gli analisti, Parigi soffre prima di tutto dei timori di contagio della crisi dei Paesi più indebitati. «Per finanziare le perdite su Spagna e Italia, alcuni investitori di lungo termine riducono la loro esposizione sulla Francia», osserva Axel Botte, specialista del mercato obbligazionario da Natixis AM. «Forse c’è incertezza sulla volontà e la capacità del governo francese di imporre le misure annunciate», spiega Jean-Louis Mourier, economista ad Aurel BGC. Soprattutto, il Paese entra in un periodo pre-elettorale, difficile da gestire dal punto di vista delle finanze. «Se perdo la tripla A sono morto», ha detto qualche tempo fa il presidente francese Nicolas Sarkozy, confidandosi con alcuni fedelissimi, in vista delle presidenziali del 2012.

da IL SECOLO XIX

Crisi, la Francia punta sulla Bce. Merkel: «Cambiamo i trattati»

Roma – La pressione si fa sempre più intensa perché sia la Banca centrale europea, alla fine, a risolvere la crisi del debito mettendosi a stampare moneta.
A muoversi oggi è Parigi, il cui spread è ormai a livelli di guardia. Dal cancelliere tedesco Angela Merkel arriva un’apertura a rivedere i trattati e cedere poteri di bilancio all’Unione europea: una riforma che renderebbe l’Europa federale come gli Stati Uniti dove la Fed, appunto, da tre anni acquista titoli di Stato con moneta fresca. «Confidiamo che la Bce prenderà le misure necessarie per assicurare la stabilità finanziaria in Europa», ha detto oggi il ministro del Bilancio Valerie Pecresse. Sono in molti a chiedere che la Bce, alla fine, tiri fuori il `bazooka´ del `quantitative easing´, facendosi prestatore di ultima istanza, come la Fed.

La scorsa settimana lo aveva auspicato l’allora premier italiano Silvio Berlusconi, oggi è tornato a chiederlo Enda Kenny, primo ministro irlandese. Un’offensiva che continua a scontrarsi con la granitica opposizione della Bce e, in particolare, della potente Bundesbank tedesca: togliere dai guai Atene, Roma e forse domani anche Parigi creerebbe un incentivo a indebitarsi ancor di più. La responsabilità primaria a risolvere la crisi – ha ribadito il presidente della Bce Mario Draghi – è dei governi.

Ma qualcosa comincia a muoversi nel senso di una soluzione europea alla crisi che vada oltre il fondo salva-Stati (`Efsf´), un’arma spuntata, e l’idea degli eurobond, oggi nuovamente bocciati da Berlino e sempre meno allettanti visto che anche la Francia rischia ormai il suo rating `AAA´. Oggi la Merkel ha fatto un’apertura senza precedenti a una riforma dei trattati europei, dicendo che per difendere l’euro i tedeschi sono pronti «a cedere parte della loro sovranita»`. Per Berlino il sentiero e´ strettissimo (deve fare i conti con un’opinione pubblica sempre più ostile all’Europa e con la Bundesbank). Ma il tentativo è chiaro: spingere verso una sorveglianza europea rafforzata sui bilanci nazionali per evitare il ripetersi del dissesto del debito attuale. Arrivando persino a un bilancio federale Ue che includa prerogative finora nazionali. Una novità che toglierebbe molti argomenti a chi si oppone a un definitivo salvataggio europeo dei Paesi iper-indebitati.

Che la soluzione, poi, possa arrivare dalla Bce è tutta da vedere: occorrerebbe una riforma dei trattati. Ma è proprio su una riforma dei trattati che insiste la Merkel: i trattati «non permettono alla Banca Centrale Europa di poter risolvere i problemi dell’eurozona», ha detto oggi il cancelliere.

Di certo l’intensificarsi della crisi, che dopo l’Italia sembra voler contagiare la Francia e molti Paesi a `tripla A´, sta facendo sorgere un dibattito anche in Germania. Giusto ieri Peter Bofinger, uno degli economisti consiglieri della Merkel, ha ammesso che alla fine potrebbe toccare alla Bce fare da «argine finale» alla peggior crisi dal dopoguerra.

da IL SECOLO XIX

Parallelismi: USA – Italia

USA

da WSI

Il chairman of the board della Federal Reserve di New York Stephen Friedman ha dato le dimissioni all’improvviso, comunicando che hanno effetto immediato. Cio’ accade proprio mentre vengono diramati i dettagli sullo stress test relativi alla solidita’ dei maggiori gruppi bancari e finanziari degli Stati Uniti con la relativa necessita’ per 10 su 19 di una forte ricapitalizzazione.

Dai primi rumor circolati a New York subito dopo l’annuncio, le dimissioni vengono messe in relazione con il possibile conflitto di interessi di Friedman con Goldman Sachs, quando la banca lo scorso ottobre nel pieno della crisi finanziaria si trasformo’ da banca d’affari a banca commerciale.

Friedman era presente nel board di Goldman Sachs e ne aveva acquistato un numero notevole di azioni subito prima di un forte apprezzamento.

Il che sembrerebbe clamorosamente in contrasto con io suo ruolo di controllore nell’ambito della sede regioanle della Federal Reserve di New York.

(08/05/2009)

Italia

Ha scritto Franco Bechis per “Italia Oggi”

In cassa avevano già qualcosa in più di 1 miliardo e 200 milioni di euro di liquidità tenuta da parte negli anni precedenti. Ma nell’ultimo mese Silvio Berlusconi e i suoi cinque figli possono contare su 775 milioni di euro in più da dividersi comunque vadano le vicende familiari.

A consegnarli nelle loro mani è stata piazza Affari, che ha visto lievitare, con una performance decisamente superiore all’indice generale, i tre titoli quotati cui sono interessati gli azionisti del gruppo Fininvest. Mediaset, Mondadori e Mediolanum.

Il primo vale per loro 377 milioni in più, il secondo 113 milioni in più e il terzo 285 milioni in più del 7 aprile, all’indomani del terremoto in Abruzzo, circa un mese prima del terremoto familiare. Del miliardo e 228 milioni di euro liquidi accantonati nelle holding che controllano Fininvest sotto forma di dividendi e riserve starordinarie, la gran parte spetta al presidente del Consiglio nonchè fondatore del gruppo imprenditoriale: in tutto 719.007.355,74 euro.

Marina Berlusconi può invece contare su 54,5 milioni di euro fra quota di patrimonio netto distribuibile e liquidità in cassa. Piersilvio grazie alla sua holding quinta in tutto su 154,4 milioni di euro.

I tre fratelli di secondo letto, concepiti con Veronica Lario (il cui vero nome è Miriam Bartolini), e cioè Barbara Eleonora e Luigi hanno nella loro holding quattordicesima a disposizione 330,7 milioni di euro.

Questo patrimonio è già ampiamente diviso fra il padre e i cinque figli, e la proporzione dovrebbe restare simile anche con la valorizzazione delle partecipazioni quotate grazie al recupero dei titoli della scuderia sui mercati azionari. Ma c’è un segnale chiaro registrato in questo ultimo mese: i titoli stanno seguendo il percorso professionale del presidente del Consiglio.

Boom oltre le attese proprio nel momento in cui Berlusconi (in seguito al comportamento post terremoto in Abruzzo) stava raggiungendo le vette della popolarità e salendo gli indici di gradimento. Il parallelo non è automatico, naturalmente, ma non è un caso se molti analisti (anche l’ultimo report sul titolo Mediaset, che consigliava di attendere i risultati delle elezioni europee) ritengono strettamente legate le fortune politiche del maggiore azionista e i corsi azionari dei titoli di famiglia.

L’incognita viene dunque proprio dall’ultimo terremoto familiare: ieri per la prima volta si è bruscamente interrotta la corsa rialzista di tutti e tre. Forse meno clamore può fare bene anche alla tasche dei litiganti…

(08/05/2009)