Ma si può ?

Al via il secondo stralcio di completamento del porto: giovedì la consegna dei lavori, finanziati con 15 milioni di euro, e l’apertura del cantiere

Il sindaco Nicolò Coppola: “dopo un’attesa troppo lunga ed un iter burocratico complicatissimo, sarà un momento storico per la nostra città. Con soddisfazione ed orgoglio invito a partecipare all’evento”

«Dopo un’attesa troppo lunga ed un iter burocratico complicatissimo, giovedì apriremo il cantiere per il secondo stralcio di lavori di messa in sicurezza del porto. Ne siamo davvero orgogliosi e soddisfatti. Trattandosi di un momento storico per la nostra città invitiamo tutti a partecipare poiché l’apertura del cantiere offre, come promesso da questa amministrazione, qualche certezza in più ai castellammaresi». Lo afferma il sindaco Nicolò Coppola annunciando la consegna dei lavori e l’apertura del cantiere del secondo stralcio dei lavori di messa in sicurezza del porto, prevista giovedì 18 agosto, alle ore 10, al castello arabo normanno di Castellammare. «Il contratto d’appalto per il secondo stralcio di completamento dei lavori al porto -prosegue il sindaco Nicolò Coppola-, dopo la registrazione della Corte dei Conti, è divenuto efficace ed il rup ha trasmesso il progetto esecutivo, ultimo atto per procedere con la consegna dei lavori e l’apertura del cantiere». Finanziati con circa quindici milioni di euro, i lavori saranno effettuati dall’associazione temporanea d’imprese Sics. Giovedì mattina alle dieci, al castello arabo normanno, avverrà la consegna dei lavori alla ditta poi l’apertura del cantiere al porto. Saranno presenti: Giovanni Pistorio, assessore regionale alle Infrastrutture e Mobilità, Girolamo Turano, deputato all’assemblea regionale siciliana, Fulvio Bellomo, dirigente generale del dipartimento regionale delle Infrastrutture, Carmelo Ricciardi, dirigente responsabile del servizio Infrastrutture marittime e portuali del dipartimento regionale delle Infrastrutture, Vincenzo Palizzolo, dirigente generale del dipartimento regionale tecnico dell’assessorato delle Infrastrutture, Giuseppe Pirrello, ingegnere capo dell’ufficio del Genio Civile di Trapani e direttore dei lavori del porto, Gaspare Giuseppe Motisi, dell’ufficio del Genio Civile di Trapani, responsabile unico del procedimento dei lavori del porto, Carmelo Misseri, Bruno Urciullo e F. Ferlito, rappresentanti dall’associazione temporanea di imprese S.I.C.S. S.p.A.– Consorzio Stabile C.F.C. S.r.l. –impresa esecutrice dei lavori del porto.

«Situazione ben diversa per il primo stralcio di lavori di messa in sicurezza, fermi dal 2010 ma voglio essere ottimista poiché la Regione sta facendo redigere il progetto di messa in sicurezza con circa 10 milioni di lavori da realizzare, dopo che è stato sciolto il contratto con la Kostruttiva (ex Coveco). Siamo fiduciosi -conclude il sindaco Nicolò Coppola- che l’iter possa essere portato a termine in maniera quanto più veloce possibile».

Portavoce del Sindaco: Annalisa Ferrante

Porto di Castellammare del Golfo, una questione tra alcamesi

Era il 18 agosto del 2012 e naviganti della domenica alcamesi organizzavano una manifestazione al porto di Castellammare del Golfo per sollecitarne la realizzazione da parte di altri alcamesi impegnati con i soldi sottratti alla realizzazione del porto di Castellammare a realizzare i loro personali “porti” nel triangolo “Bosco d’Alcamo”, “Alcamo Marina” , “Alcamo” per come abbiamo dovuto scoprire solo nel 2016.
Il castellammarese intanto in tutti questi anni da gran furbo, quale ritiene di essere ed è, ha osservato e meditato, lui !

E intanto che meditava, girata la carta, sempre in compagnia di un alcamese andava in Regione ad “ottenere” la ripresa dei lavori del Porto di Castellammare.
Ma come fu o come non fu i lavori non ripresero nemmeno quella volta.

Consiglio Comunale di Castellammare del Golfo, va tutto bene !

A questo giro i consiglieri comunali non si dimettono, vince la buona vecchia politica della mano tesa e della pietà misericordiosa, con sommo gaudio e giubilo della locale ecclesia.
La replica della rappresentazione andata in scena ieri sera è già in programma per subito dopo la prossima operazione della DDA.
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La realtà attuale non è fatta mai di solo bianco o solo nero

figurarsi il passato !

Interessantissima questa lettera dell’avvocato Antonio Coppola, legale della famiglia Mattarella, per le considerazioni che può indurre (in chi è sufficientemente libero ed onesto intellettualmente) a proposito delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Di Carlo su Bernardo Mattarella, padre dell’attuale Presidente della Repubblica, Sergio.
La vicenda scaturisce dal fatto che nell’ambito di un processo per diffamazione il Di Carlo è stato chiamato a rafforzare le tesi sostenute dal querelato con ciò venendo elevato al ruolo di “storico” e “quasi” testimone del tempo, del suo e di quello di Bernardo Mattarella, peraltro non perfettamente coincidenti.

Egregio Direttore,
nell’interesse dei familiari dell’on. Bernardo Mattarella, deceduto nel 1971, rappresento quanto segue, in relazione all’articolo a firma Sandra Rizza, pubblicato il 31 marzo 2016.
Con sentenza del 21 giugno1967 il Tribunale di Roma, pronunciandosi su una querela per diffamazione presentata dall’on. Bernardo Mattarella, ha affermato che lo stesso “ha portato a conoscenza del Tribunale, obiettivamente documentandolo, l’atteggiamento di insuperabile contrarietà alla mafia, assunto e mantenuto nel corso di tutta la sua carriera politica“.
Nella stessa sentenza – confermata dalla Corte di Appello di Roma il 7 luglio 1972 e dalla Corte di Cassazione il 26 giugno 1973- si pone in evidenza “la diversità delle sedi, parlamentare, giornalistica, elettorale, in cui il Mattarella ha espresso sempre in modo inequivoco la sua condanna del fenomeno mafioso e la coerenza alla quale sin dall’inizio e poi per tutto l’arco della sua vita politica, ha saputo improntare tale atteggiamento” e si sottolinea che egli non è “mai entrato in contatto con l’ambiente mafioso da lui, invece, apertamente e decisamente osteggiato nel corso di tutta la sua carriera politica”.
L’avv. Repici, difensore del Caruso in questo giudizio, pur di ritardare la conclusione del giudizio, ricorre alle millanterie attribuite al Di Carlo, raccogliendo presunte dichiarazioni in maniera decisamente anomala ed irrituale, sulla base di un processo penale che non esiste, e nonostante il Giudice della causa attualmente in corso avesse già rigettato la richiesta di testimonianza dello stesso Di Carlo.
Abbiamo provveduto a verificare, agli atti non ancora pubblici del giudizio civile, ormai alle conclusioni, l’intera dichiarazione attribuita al Di Carlo e va detto che si tratta di una somma di palesi fandonie, facilmente confutabili, con significative differenze tra il verbale sintetico e il testo integrale delle dichiarazioni. E’, inoltre, davvero significativo che nelle sue affermazioni il Di Carlo citi sempre persone decedute (dato che chi è in vita potrebbe smentire).
Grottesca l’affermazione che un tempo “i migliori entravano in Cosa Nostra, in modo fisiologico, anche da persone per bene”. Questa inverosimile visione buonista della mafia è formulata per consentire di dire che Bernardo Mattarella “persona per bene” si sarebbe avvicinato alla mafia di Castellammare del Golfo in quanto vi svolgeva la professione di avvocato e le persone anche per bene di un certo peso sociale entravano inevitabilmente nell’ambito della mafia. Il Di Carlo ignora evidentemente che Bernardo Mattarella ha svolto la sua professione di avvocato, sin dall’inizio, a Palermo, dove trasferì anche la propria residenza non ancora trentenne.
Ma, va aggiunto, “nei primi anni sessanta” Bernardo Mattarella, nato nel 1905, non era un “giovane avvocato di Castellammare del Golfo”, avendo fatto parte dei primi due Governi del Comitato di Liberazione Nazionale nel 1944-45 ed essendo in Parlamento, sin dalla Consulta Nazionale del 1945 e dall’Assemblea Costituente, e successivamente facendo parte del Governo.
Aggiunge il Di Carlo che i mafiosi di Castellammare del Golfo avrebbero considerato “successivamente contrario a loro” Bernardo Mattarella (in realtà da sempre: già alle elezioni comunali di quella cittadina, nel 1946 e quindi nel 1958-59, quegli ambienti mafiosi avevano promosso liste civiche e alleanze con gli altri partiti contro la Democrazia Cristiana di Bernardo Mattarella). Questi, secondo la narrazione del Di Carlo –di provincia diversa da quella di Castellammare- si sarebbe allontanato da quegli ambienti a seguito del rapimento del proprio figlioccio Caruso (Antonio), figlio dell’industriale del marmo. Ebbene, il dott. Antonio Caruso, come accertato dalla sentenza del Tribunale di Palermo del 3 ottobre 2013 n. 4089/2013, e come testimoniato dallo stesso in quel giudizio, non era affatto figlioccio di Bernardo Mattarella ed il suo rapimento avvenne pochissimi giorni prima della morte di Bernardo Mattarella, che si trovava ricoverato in clinica, a Roma, per la seconda volta a causa della sua malattia.
Va sottolineato anche che il Di Carlo afferma di avere incontrato, nel ’63-’64, quando aveva poco più di venti anni, l’on. Bernardo Mattarella nell’abitazione di questi a Palermo in piazza “Isidoro” Siculo o in piazza Virgilio, recapiti dove questi non ha mai abitato. Peraltro, dal 1948, Bernardo Mattarella viveva a Roma.
Afferma il Di Carlo, in maniera confusa, approssimativa e contraddittoria, che la famiglia della moglie di Bernardo Mattarella, chiamandosi Buccellato – pur essendo molte le famiglie con questo cognome, con magistrati, insegnanti, professionisti, e così via – siccome esisteva in quella cittadina anche un mafioso con questo cognome, doveva necessariamente avere con costui un collegamento. In realtà il cognome Buccellato è tra i più diffusi dell’intera provincia di Trapani, con nuclei familiari senza alcun rapporto di parentela e che nulla hanno a che vedere fra di loro.
Come si vede il Di Carlo non sa nulla della vita di Bernardo Mattarella.
Afferma, inoltre, il Di Carlo di aver incontrato Piersanti Mattarella “da ragazzo” e che lo incontrava anche “all’epoca dell’Università, in occasione di feste di ambiente universitario”. Ebbene, Piersanti Mattarella dal 1948 viveva ed ha studiato (ginnasio, liceo e università) a Roma, dove si è laureato: è quindi impossibile che il Di Carlo peraltro di sei anni più giovane, possa averlo conosciuto allora.
Aggiunge il Di Carlo che incontrava Piersanti Mattarella ogni anno alla festa che la Principessa di Ganci organizzava nel castello di Solunto e cui avrebbero sempre partecipato prefetti e questori. Anche qui tocca il ridicolo: Piersanti Mattarella si è recato nel castello di S. Nicola l’Arena (e non di Solunto) una sola volta, con i suoi familiari, in occasione di un famoso concerto di Fred Bongusto, come molti altri spettatori paganti. Va aggiunto che la Principessa di Ganci era morta da molti anni!
Ma anche nell’altro articolo della stessa pagina del vostro giornale vi è un’ennesima prova dell’inattendibilità del Di Carlo: affermare, come questi fa, che a provocare involontariamente l’assassinio di Piersanti Mattarella sarebbe stata una presunta confidenza fatta dal Procuratore Pajno per notizie ricevute nella sua qualità di Procuratore della Repubblica di Palermo, si scontra con la realtà. Come è scritto nel vostro stesso articolo, il dott. Pajno ha ricoperto quel ruolo “dalla fine del ‘80 al ‘87” e Piersanti Mattarella, com’è ampiamente noto, è stato assassinato il 6 gennaio 1980, quando Procuratore della Repubblica di Palermo era Gaetano Costa, anch’egli successivamente assassinato.
Davvero singolare questo cosiddetto collaboratore di giustizia che, con tanta disinvoltura, maltratta persino il calendario su tanti punti di queste sue presunte dichiarazioni, fantasiose e – si ripete – incerte e contraddittorie.
Per tutte queste ragioni i familiari dell’On.le Bernardo Mattarella mi hanno conferito l’incarico di tutelare in sede giudiziaria la memoria del loro congiunto, nei confronti di tutti i soggetti coinvolti, in relazione all’articolo apparso questa mattina sul giornale da lei diretto.
Distinti saluti.

Antonio Coppola
Legale famiglia Mattarella

Il seguito con le precisazioni ed i link correlati sta su ANTIMAFIA Duemila

Per quelli dalla memoria corta

ERGASTOLO A TRE BOSS DELLA MAFIA DECISERO LA STRAGE DI PIZZOLUNGO

CALTANISSETTA Una strage con tre colpevoli, un massacro inutile per quei boss che volevano fermare il giudice Palermo con una autobomba. Il processo è finito con tre ergastoli dopo 142 udienze e 16 lunghi giorni di camera di consiglio. Carcere a vita per il mandante e i due organizzatori della strage di Pizzolungo dove morirono una giovane donna e i suoi due figli, condanne per quasi settant’ anni ai gestori della più grande raffineria di eroina mai scoperta in Europa, una sfilza di assoluzioni per non avere commesso il fatto che mettono a fuoco la fragilità di una istruttoria intorno ad uno dei più intricati casi siciliani. Il presidente della Corte d’ assise Placido D’ Orto ha pronunciato la sentenza qualche minuto dopo le nove e trenta in un’ aula silenziosissima: …La Corte condanna Calabrò Gioacchino, Melodia Filippo e Milazzo Vincenzo alla pena dell’ ergastolo con l’ isolamento diurno per quattro mesi per ciascuno dei predetti imputati…. Tre mafiosi accusati di strage con finalità di terrorismo ed eversione, tre uomini d’ onore che tentarono di uccidere il sostituto procuratore di Trapani Carlo Palermo sistemando un’ auto imbottita di un potente esplosivo sulla strada panoramica che va verso le Tonnare. Una madre e due figli Ma quella mattina, il 2 aprile del 1985, una Golf saltò in aria quando la blindata del giudice fu affiancata da un’ altra automobile sulla strada di Pizzolungo. Dentro c’ erano Barbara Asta, una donna di 32 anni, e due gemelli di 6 anni, Giuseppe e Salvatore. Morirono tutti e tre in un secondo. Il giudice Palermo, da 45 giorni in Procura al posto di un collega arrestato per corruzione, si salvò solo per un miracolo. I tre mafiosi condannati all’ ergastolo sono Vincenzo Milazzo, un enotecnico di Alcamo considerato un boss in ascesa nella gerarchia di Cosa Nostra, Gioacchino Calabrò, un carrozziere di Castellamare del Golfo e Filippo Melodia, un piccolo proprietario terriero del trapanese. Il primo è la mente della strage, gli altri due hanno avuto un ruolo preciso nell’ organizzazione militare di Pizzolungo. Filippo Melodia è l’ unico latitante. Il pubblico ministero Ottavio Sferlazza aveva chiesto nella sua requisitoria cinque condanne all’ ergastolo, ma la Corte di assise non ha ritenuto sufficienti gli indizi contro Mariano Asaro e Vincenzo Cusumano. Sono stati assolti dall’ accusa di strage per non avere commesso il fatto. Una sentenza che ha sollevato subito non poche polemiche su come è stata condotta l’ istruttoria dal giudice Claudio Lo Curto. Nunzio Asta, l’ uomo che la mattina del 2 aprile 1985 perse la famiglia, decifra perplesso la sentenza: Dopo tre anni e mezzo finalmente qualcosa si è scoperto, finalmente tre colpevoli sono stati condannati ma…. Finalmente i colpevoli E’ il difensore di parte civile, l’ avvocato Elio Esposito, che spiega i suoi dubbi: Se da una parte siamo soddisfatti, dall’ altra siamo assolutamente insoddisfatti per un’ ordinanza che era totalmente squinternata e cervellotica. Il processo per la strage è cominciato in realtà solo nella primavera scorsa, quando la Corte è andata a Pizzolungo per eseguire un sopralluogo. La parte civile scende pesantemente in campo contro chi ha istruito il processo e, così, anche uno dei penalisti che difendeva altri due uomini accusati di strage, Gaspare Crociata e Antonino Palmeri, due imputati per i quali il Pm ha chiesto però il proscioglimento. La sentenza è equilibrata dice l’ avvocato Michele Vizzini perché certe critiche all’ accusa sono state recepite e accolte. Ma non tutto quello che bisognava fare durante l’ istruttoria è stato fatto. Un mio cliente era accusato di strage perché, secondo l’ accusa, aveva fornito l’ esplosivo, un tipo di esplosivo che si produce soltanto in Cecoslovacchia e che può essere maneggiato solo da pochi esperti. E aggiunge il penalista: Tutto questo lo abbiamo saputo tardi, quando l’ istruttoria era già chiusa da un pezzo. Ma gli scenari intorno all’ attentato al giudice Palermo portano lontano, io sento puzza di servizi segreti. Nella piccola aula di Corte d’ assise dove è stata pronunciata la sentenza accusa e difesa discutono su tre ergastoli e due assoluzioni. Contro il mio cliente spiega l’ avvocato Oreste Cigna che difendeva Vincenzo Milazzo, c’ erano solo pochi indizi, non posso ritenermi soddisfatto perché le risultanze probatorie non contengono un’ affermazione di responsabilità. La sentenza comunque ha indebolito la struttura accusatoria. E’ d’ accordo il Pm Ottavio Sferlazza? No, la struttura accusatoria ha retto e il fatto che non siano stati inflitti quegli altri due ergastoli rientra nella fisiologia di una dialettica processuale. E, poi, un affiliato ad un’ organizzazione non necessariamente deve rispondere dello stesso reato di un altro affiliato alla stessa organizzazione…. Il giudizio di un altro avvocato, Salvatore Raina: Da tanti anni faccio il penalista ma non ho mai incontrato una corte così equilibrata. Sul movente della strage la Corte d’ assise non ha avuto dubbi sostenendo la tesi avanzata dall’ accusa. Un laboratorio di eroina Carlo Palermo doveva essere ucciso perché stava indagando su un laboratorio per la trasformazione di colossali partite di morfina base provenienti dalla Bulgaria. Una raffineria nelle campagne di Alcamo gestita da Vincenzo Melodia, un imputato che è stato condannato a diciannove anni di reclusione. Condanne pesanti anche per altri tre insospettabili coinvolti nel traffico di stupefacenti. Ma i mafiosi del Trapanese non volevano soltanto proteggere il loro laboratorio di eroina che, grazie alle indagini del giudice Palermo, fu scoperto una trentina di giorni dopo l’ attentato. L’ obiettivo del clan era sì eliminare un giudice ficcanaso ma anche, scriveva il giudice istruttore, intimidire tutti i magistrati… e sia al fine di terrorismo ed eversione dell’ ordine democratico. Il processo oggi si è concluso ma restano ancora tanti buchi neri. Il primo riguarda il tipo di esplosivo, lo stesso utilizzato negli ultimi anni in tanti attentati a Beirut e in altre città mediorientali. Il secondo rebus è sul coinvolgimento di tutta l’ organizzazione Cosa nostra nella strage. Un’ istruttoria-bis è aperta da anni.

dal nostro inviato ATTILIO BOLZONI
20 novembre 1988

da La Repubblica

Castellammare del Golfo: “il nemico si fà d’ombra… s’ingarbuglia la matassa!”

Dopo l’operazione “Cemento del Golfo” sembra si chiudano gli spazi politici per la prosecuzione dell’esperienza di Nicola Coppola a Sindaco di Castellammare del Golfo.
Tutta intera l’opposizione in Consiglio Comunale (undici su venti) manifesta l’intenzione, con una dura nota che sa di ultimatum, di dimettersi, con ciò determinando la decadenza del Consiglio Comunale, ove il sindaco non rassegni le dimissioni.
E se tecnicamente la decadenza del consiglio non determina anche la decadenza del Sindaco è facile immaginare, nel caso di non presentazione delle dimissioni anche da parte del Sindaco, la quasi automaticità dell’avvio della procedura di accesso da parte del Prefetto, con tutti i rischi connessi ad un futuro eventuale ennesimo commissariamento del Comune per infiltrazioni mafiose.
Dimissioni contestuali di Sindaco e Consiglio Comunale a questo punto appaiono la cosa più ragionevole.
A meno che non si voglia continuare a traccheggiare a spese dell’intera cittadinanza castellammarese.

“A nome della rappresentante comunità castellammarese chiediamo al Sindaco Nicolò Coppola di recarsi dal Signor Prefetto e rassegnare le proprie dimissioni.
La Nostra Città merita amministratori seri e lungimiranti in grado di assolvere alle proprie funzioni con determinazione e impegno e non artefici di fallimenti amministrativi (vedasi depuratore, porto e deriva della macchina comunale) e politici (come lo sfaldamento della maggioranza consiliare e l’utilizzo delle cariche assessoriali come contropartita per una ingloriosa sopravvivenza politica).
Questa già grave situazione di deriva amministrativa sommata alle recenti vicende giudiziarie che hanno visto tristemente coinvolto indirettamente il primo cittadino, rende imprescindibile una nostra presa di posizione chiara, netta e decisa sulla questione morale che si è consequenzialmente posta in essere.
Pertanto, si chiede al Sig. Sindaco il primo vero atto di responsabilità dal suo insediamento ad oggi nei confronti della cittadinanza tutta, ossia rassegnare le proprie dimissioni dinanzi al Prefetto.
Qualora questo invito non dovesse essere accolto siamo addivenuti alla irrevocabile decisione di rassegnare le dimissioni da Consiglieri Comunali nell’esclusivo interesse dell’intera collettività”.

F.to Ancona Laura F.to Asaro Giacomo

F.to Canzoneri Gaspare F.to Cruciata Stefano

F.to Di Bartolo Giacomo F.to Fausto Giuseppe

F.to Labita Vitalba F.to Motisi Ivano

F.to Norfo Giuseppe F.to Palmeri Angelo

F.to Paradiso Maurizio

“Todo cambia”, ma quando mai !

Trapani, imprenditore antiracket in manette. I boss imponevano il suo calcestruzzo

Blitz dei carabinieri, cinque arresti. Le forniture di cemento in provincia di Trapani monopolizzate da Cosa nostra, attraverso l’azienda di un insospettabile imprenditore impegnato nell’associazione antiracket di Alcamo

di SALVO PALAZZOLO

Nel 2006, aveva denunciato alcuni esattori del pizzo. E subito era diventato un simbolo dell’antimafia nella terra del superlatitante Matteo Messina Denaro. In realtà, l’imprenditore Vincenzo Artale – membro dell’associazione antiracket di Alcamo – era in affari con i boss, quelli che contavano veramente. E questa mattina, all’alba, è finito in manette assieme a loro, con l’accusa di tentata estorsione, aggravata dal favoreggiamento a Cosa nostra. Un’indagine dei carabinieri del comando provinciale di Trapani diretto dal colonnello Stefano Russo ha scoperto che Artale avrebbe avuto uno sponsor d’eccezione, il nuovo capo della famiglia mafiosa di Castellammare del Golfo, Mariano Saracino, anche lui un tempo imprenditore del settore del calcestruzzo, era già stato arrestato una prima volta nel 2000 perché ritenuto vicino a Cosa nostra. Con Artale e Saracino sono state arrestate altre tre persone.

Cade così un altro simbolo dell’antimafia. L’ennesimo in Sicilia finito nel ciclone di un’inchiesta giudiziaria. Artale aveva denunciato per davvero delle richieste di pizzo, ma gli autori erano dei piccoli mafiosi. Quale migliore occasione per accreditarsi come imprenditore coraggio, e non perdeva occasione per ribadire il suo credo di sincero antimafioso durante convegni e manifestazioni. Nel maggio scorso, era stato eletto nel collegio dei probiviri dell’associazione
antiracket di Alcamo. E intanto continuava a fare i suoi affari con i mafiosi.

continua su “La Repubblica

***Update

OPERAZIONE “CEMENTO DEL GOLFO” MAFIA, AFFARI E CEMENTO ALL’OMBRA DI MESSINA DENARO: CINQUE ARRESTI NEL TRAPANESE

Le ordinanze hanno colpito il capo della famiglia mafiosa di Castellammare del Golfo e altri quattro affiliati, tra cui alcuni imprenditori per le ipotesi di associazione a delinquere di tipo mafioso, estorsione aggravata, danneggiamento aggravato, fittizia intestazione aggravata, frode nelle pubbliche forniture e furto.

30 marzo 2016

E’ stata battezzata “Cemento del Golfo” l’operazione dei carabinieri di Alcamo, per associazione a delinquere di tipo mafioso, estorsione aggravata, danneggiamento aggravato, fittizia intestazione aggravata, frode nelle pubbliche forniture e furto. I carabinieri della Compagnia di Alcamo e del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Trapani hanno arrestato il capo della famiglia mafiosa di Castellamare del Golfo, Mariano Saracino, 69 anni, e Vito Turriciano, 70 anni, Vito Badalucco, 59 anni e Vincenzo Artale, 64 anni. Sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione aggravata, danneggiamento aggravato, fittizia intestazione aggravata, frode nelle pubbliche forniture e furto. Al blitz hanno partecipato oltre 100 militari dell’Arma, con l’ausilio di un velivolo del 9/o Nucleo Elicotteri di Palermo. L’inchiesta, coordinata dalla Dda di Palermo, guidata dal procuratore Francesco Lo Voi, è stata avviata nel 2013 e ha permesso di scoprire l’attuale organigramma mafioso della cupola di Castellammare, enclave storica delle cosche trapanesi. L’attività investigativa è nata dopo una serie di attentati a imprenditori edili e del movimento terra. I carabinieri hanno scoperto che i danneggiamenti erano da ricondursi al contesto mafioso legato alla famiglia di Castellammare del Golfo, che fa parte del mandamento di Alcamo, e al cui vertice c’è Saracino, già condannato per associazione mafiosa e da sempre legato alla storica “famiglia” alcamese dei Melodia. Dalle indagini è emerso che un gruppo di persone imponeva la fornitura di calcestruzzo a diversi imprenditori impegnati in lavori privati o in opere pubbliche. L’imprenditore favorito dalla cosca è, secondo quanto hanno accertato le indagini, coordinate dalla Dda di Palermo, Vincenzo Artale, responsabile di una società del settore del calcestruzzo. Ad Artale, che fa parte dell’associazione antiracket e antiusura di Alcamo, di fatto la mafia avrebbe garantito una posizione di forza all’interno del mercato. Con pressioni ed intimidazioni, i committenti di lavori privati o le ditte appaltatrici venivano costretti a rifornirsi di cemento dall’imprenditore, che si è aggiudicato tutte le maggiori forniture nei lavori in zona. Diversi sono stati gli episodi estorsivi accertati nel corso dell’indagine, alcuni dei quali provati anche con la collaborazione delle vittime. Nel corso dell’operazione è stata sequestrata inoltre l’azienda “SP Carburanti s.r.l.”, con sede legale a Castellammare del Golfo, considerata fittiziamente intestata a prestanome, ma riconducibile alla famiglia mafiosa di Castellamare del Golfo.

da RaiNews

***Update

SICILIA
Mafia, manette per l’imprenditore che stava nell’associazione antiracket
Affari e cemento all’ombra di Messina Denaro, 5 arresti: clan trapanese favoriva costruttore insospettabile, ben mimetizzato nel pianeta antimafia, addirittura come membro del Collegio dei probiviri dell’Associazione antiracket di Alcamo
di Felice Cavallaro

……

Il capofamiglia «onesto»
Sottoposto dal gennaio 2013 alla sorveglianza speciale con obbligo di residenza a Castellammare del Golfo e con l’impegno «di vivere onestamente, rispettare le leggi e non dare ragione a sospetti», Mariano Saracino il «capo famiglia» mandava altri tre dei suoi uomini adesso arrestati a costringere chi costruiva in zona ad utilizzare il calcestruzzo della Inca, l’azienda di Artale. A sua volta ben cosciente di queste vere e proprie estorsioni, secondo l’accusa della Dda diretta dal procuratore di Palermo Franco Lo voi.

La messa a posto
Artale è considerato partecipe in pieno alla cricca mafiosa dal gip Nicola Aiello. Al punto da lamentarsi quando qualcuno non si piegava: «Il torto non è che lo ha fatto a me, più che altro lo ha fatto a voi o a chi per voi». E gli uomini di Saracino provvedevano. Come accadde quando al geometra Domenico Prestipino, guida di un’azienda messinese impegnata con un cantiere sulla Palermo-Mazara del Vallo, si presentò un boss sessantenne: «Mi manda Alcamo… Deve dire alla sua azienda che deve imparare a bussare quando arriva in un posto. Sapete benissimo come ci si comporta in questi casi». E Prestipino, terrorizzato, chiese paradossalmente consiglio a un collega della zona, proprio ad Artale che col suo bollino da antimafia ufficiale poteva garantire: «Ci parlo io con i carabinieri». Gli stessi che l’hanno arrestato.

da “Corriere.it

***Update

E il Sindaco ?

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“E’ stato un imprenditore che fa parte dell’associazione antiracket di Alcamo, Vincenzo Parisi, a denunciare il ruolo di Vincenzo Artale. Negli anni scorsi avevano partecipato insieme a delle iniziative antimafia, ma poi erano iniziati i sospetti. “Ho capito chiaramente che Artale, impegnato anche lui nell’associazione, è a disposizione del duo Saracino-Badalucco – ha raccontato Parisi ai carabinieri – Artale non ha ancora un suo impianto di calcestruzzi, è in costruzione nella zona industriale di Alcamo, ma si rifornisce dalla Cesat Calcestruzzi di Cinisi”. ”

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